Vanity Fair (Italy)

STAVANO DAVVERO LE COSE»

«DEVO MOLTO AI MIEI GENITORI. DA MIA MADRE HO PRESO ANCHE QUALCHE SBERLA, LEI ERA PIÙ SEVERA DI MIO PADRE: LUI RACCONTAVA I SOGNI, LEI COME

-

Vinse tra le Novità, ma non vinse il Festival. «Pensavo: ma che mi frega? Tanto ho chiesto l’autografo a tutti». A lei fino ad allora non l’aveva chiesto nessuno. «Il massimo che mi chiedevano era di cantare la loro canzone preferita. “Scolta, cara, la conosci l’ultima di Fiordaliso?”. E io giù a cantare Non voglio mica la luna, il mio cavallissi­mo di battaglia, Anna Oxa e naturalmen­te Ornella Vanoni, la mia preferita». Oggi non deve più limitarsi alle cover. «Ma non riesco comunque a realizzare tutti i desideri che avrei. Con Paolo Conte, per esempio, non ci sono mai riuscita, e neanche con Jovanotti prima di questa ultima canzone, Innamorata. Abbiamo provato e cantato, ma siccome in entrambi i casi né io né loro eravamo convinti abbiamo lasciato perdere e fortunatam­ente siamo stati sufficient­emente lucidi e onesti per trovare la forza di dircelo. Succede solo con i grandi. Fino a quando, come nel caso di Lorenzo, arriva il momento giusto». Al suo secondo Sanremo portò amori. «Forse il mio singolo più venduto. Lottai per cantarla, perché il brano non convinceva nessuno. Arrivai terza e, da quelli che avrebbero dovuto proteggerm­i e sostenermi, mi sentii dire: “Se avessi portato un altro pezzo forse avresti vinto”. Ma fui contenta di aver difeso la mia decisione e quella canzone e di aver avuto la testa dura. Fino ad allora avevano parlato sempre gli altri al posto mio. Dissi il primo no e subito dopo iniziarono a rispettarm­i di più. Di lì a poco da quel manager mi separai». Perché? «Mi aveva scoperta e gli dovevo tanto. Ma dopo aver passato un anno a sentirmi dire che ero brutta e grassa, mi arrabbiai. Come ti permetti? Ero una ragazzina di diciotto anni. Non ce la facevo più. Gli diedi appuntamen­to nella hall dell’Hilton e lo trovai sprofondat­o nel divano di pelle. Presi fiato e, senza guardarlo mai in Strani faccia, gli dissi: “Non ti voglio più vedere”. Tendo a essere sincera, mi aspetto lo stesso dagli altri e, se vengo tradita o mi sento delusa, chiudo per sempre». E chiuse per sempre? «Per sempre. Quando telefonai a mio padre per dirglielo, la reazione fu dura: “Sei una pazza, avresti dovuto consultarm­i”. Tenni il punto: “Se devo stare con gente così preferisco fare tutta la vita il piano bar”». Era una testa dura anche da bambina? «Ero precisa. Iniziare a cantare nei piano bar a 12 anni mi diede una disciplina e mi fece capire che dovevo organizzar­mi. Il resto l’hanno fatto i miei». E come l’hanno fatto? «Anche con le sberle. Per fortuna, qualche schiaffo da mia madre io l’ho preso. I compiti non fatti, una rispostacc­ia e pùm, ecco che arrivava. Lei era direttrice di un asilo nido, ed era più severa di mio padre. Lui raccontava i sogni, lei come stavano davvero le cose. Senza averla avuta dietro non sarei così tanto con i piedi per terra». Perché? «Perché è una testa dura anche lei. Tornavo a trovarla a Solarolo tutte le volte che potevo, ma a un certo punto, tra un impegno e l’altro, divenne parecchio difficile. Potevo andare sempre meno spesso e, quando la cercavo, lei era sempre a scuola. Mi lamentai: “Mamma, possibile che non riesca mai a vederti? Non puoi chiedere qualche permesso?”». E lei? «“Se avessi fatto la farmacista come ti avevo consigliat­o, ci vedremmo più spesso”. Dopo cinque anni di battaglia la convinsi a licenziars­i dall’asilo. Per lei fu un piccolo trauma». E lei schiaffi a Paola ne darà? «Se se li merita sì: una piccola sberla – niente di forte o violento ovviamente – trovo che sia più che giusta in alcune occasioni». Quindi Laura Pausini non è solo buona. «A volte, e non certo con Paola, mi va il sangue alla testa. Mi è successo anche in concerto. In prima fila c’era un puttanone che si dimenava e si mangiava con gli occhi il mio Paolo. Mi son fermata e le ho detto: “Bella, ma pensi che non me ne accorga?”». Che carattere. «Il mio primo contratto con la Warner lo firmai con Tino Silvestri, la persona che due anni prima era venuta a vedermi al Caffè Italia di Cervia e, dopo l’esibizione, si era avvicinato per dirmi: “Credo che tu non debba proprio fare la cantante”. Pensai: ma cosa vuole questo, io canto quanto mi pare. Quando ci ritrovammo davanti al presidente della Warner, non mi trattenni: “Sa chi è lui? È quello che mi disse che non avrei mai dovuto cantare”». Non sa tratteners­i? «A volte è impossibil­e. Quando per Surrender andai negli Stati Uniti, consapevol­e di dover dedicare almeno un anno al lancio del disco americano, non mi aspettavo che i miei discografi­ci senza consultars­i con me remixasser­o in chiave dance i miei pezzi per lanciarli in classifica. Ero stata ovunque, anche nelle radio più sperdute del Wyoming, a presentarm­i al pubblico per com’ero, e quelli mi snaturavan­o per mostrarmi come volevano loro. Lo fecero una prima volta e protestai. Alla seconda chiamai l’aeroporto, presi il primo volo e me ne tornai a casa. I discografi­ci un po’ si incazzaron­o. Volevano che diventassi la nuova Cher, ma io la nuova Cher non potevo e non volevo essere». In quella classifica però si era tolta la soddisfazi­one di mettere in fila Madonna. «E allora? Non mi è andata lo stesso di culo così?». Una vacanza ogni tanto potrebbe concederse­la. «Una volta che ho avuto la fortuna di avere questa vita me la godo fino in fondo. Quando sarò morta avrò un sacco di tempo per stare in vacanza». Pag. 49: abito di denim ricamato con cristalli Swarovski, Styling Nicolò Cerioni. Make-up e hair Gianluca Mandelli. Pag. 47: abito d’organza ricoperta di micro paillettes, disegnato per il tour #Pausinista­di,

Gilberto Calzolari. Byblos Milano.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy