C’ERA UNA TRATTORIA...»
cosa di Expo rimasta. Ogni sera c’è gente che ha da mangiare e che può far festa. E stiamo portando un progetto analogo per i poveri di Rio de Janeiro alle Olimpiadi». Come ha conosciuto Lara? «Storia bellissima, infatti due produttori di Hollywood vorrebbero farci un film». Davvero? «Sì, anzi: secondo lei chi potrebbe fare la mia parte?». Pierfrancesco Favino? Stefano Accorsi? «Ah, Accorsi lo conosco e mi piace tanto anche come persona. Speriamo che sappia recitare in inglese». Immagino di sì. Mi racconta la storia? «Era il 1993, io a New York avevo lavorato a Le Cirque ma non mi piaceva: 400 coperti, un mangiatoio. Un giorno sono entrato a bere un espresso in un caffè di SoHo e ci hanno messo venti minuti per servirmi. Ho lasciato il mio numero di telefono, dicendo che io avrei potuto rendermi utile. Mi hanno chiamato poco dopo. Lara lavorava al Wooster Theatre (la compagnia d’avanguardia fondata da William Dafoe e dalla sua ex moglie Elizabeth LeCompte, ndr), che era a due passi e, anche lei, era andata a cercar lavoro al locale. Abbiamo iniziato insieme: stesso turno. Lei dietro il bancone del bar, io in cucina. Era il 7 aprile 1993. A settembre, per il mio compleanno, è venuta a trovarmi a Modena». Come fa una newyorchese, e figlia dello storico direttore del Reader’s Digest, a vivere a Modena? «Glielo chiedono sempre. Lei risponde che bisogna capire la provincia senza perdersi nella provincia». La sua passione per l’arte contemporanea, citata nei piatti e appesa ai muri, è merito di Lara? «Sì, io fino a quel momento mi fermavo all’impressionismo. Lei mi ha aperto un Massimo Bottura il 14 giugno a New York con il primo premio The World’s 50 Best Restaurants (nel 2015 era arrivato secondo). mondo, un modo di vedere che io voglio riprodurre nei miei piatti». Lara sa cucinare? «Fa risotti buonissimi, un ottimo minestrone e un pollo al curry eccezionale che le ha insegnato un’amica angloindiana». Avete due figli. Lei, che ha avuto un padre non dei più desiderabili, che padre cerca di essere? «Con Alexa, che ha 19 anni e studia Scienze politiche a Washington, a volte sono troppo severo, pretendo molto da lei, anche se la adoro, è la mia bimba! Con Charlie, che ha 15 anni e un disturbo genetico, con qualche difficoltà di apprendimento, sono più buono, gliele do tutte vinte. Dovrebbe conoscerlo Charlie, è un numero uno. Non sa quante cose mi insegna, mi prende di mano il computer per farmi vedere come si fa». Come avete reagito Charlie? «Non ci siamo disperati, l’abbiamo accettata forse con un po’ di incoscienza ma abbiamo deciso di trattarlo in tutto e per tutto come un bambino normale, fargli frequentare le scuole con gli altri, incoraggiarlo alla diagnosi di a impegnarsi come e più degli altri. Adesso, con l’associazione Aut Aut, che raccoglie famiglie che hanno figli con qualche difficoltà, ho creato un progetto che si chiama Il Tortellante. I ragazzi stanno imparando a fare i tortellini. Presto prenderò un banco al mercato per farglieli vendere». Passa qualcuno e Bottura chiede come sta andando l’Italia. Ancora 0 a 0. Lei è interista, vero? «Purtroppo! Che vita dura! A me quello che fa incazzare nel calcio è che i giocatori non abbiano attaccamento alla maglia. Qui, se siamo diventati quello che siamo, è perché tutti giocano per l’Osteria Francescana». Negli anni, ci sarà qualcuno che è andato via? «Nessuno di grande talento. Chi è andato è perché se ne doveva andare e perché non si era integrato nel gruppo». La cucina è come la barca a vela, ci può essere un solo skipper? «Per forza. Siamo in 43 in uno spazio minuscolo, se ognuno dicesse la sua, sa il casino. C’è stato un momento in cui abbiamo provato a fare un po’ di democrazia, a indire delle riunioni. Un disastro. Abbiamo smesso». Quanto contano per lei i riconoscimenti? «Moltissimo. Mi fanno ridere quelli che “ah, io non leggo le recensioni, ah a me le stelle non interessano”. Bugiardi! Io le so a memoria le mie medaglie: 20/20 per L’Espresso, 96 centesimi per una guida, 95 per un’altra, tre stelle Michelin, primo dei Best 50 Restaurants… Ha idea di quanta gente vorrebbe essere al mio posto?». Dalla cucina, arriva un urlo. L’Italia ha segnato. Bottura alza le braccia in segno di vittoria.