Vanity Fair (Italy)

MA A TESTA ALTA»

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Ormai i rapper in Tv sono ovunque. «Purtroppo. Emis Killa a The Voice non mi è dispiaciut­o, ma lui viene dalle gare di freestyle come me, è cresciuto in provincia. Io credo che il rap possa andare ovunque, purché porti un messaggio sociale. Se fatto bene, può andare anche al Tg1». Quand’è che è fatto bene? «Un vero rapper sa fare il freestyle e affronta tutti i temi: la politica, il divertimen­to, la legalizzaz­ione della marijuana, l’emigrazion­e, la violenza sulle donne. Se parli sempre della stessa cosa, sei un mezzo rapper». Però c’è anche un lato oscuro: il rap che inneggia alla violenza, qualche volta al terrorismo. «Io cerco di essere ironico anche quando parlo di politica: il mio genere è il “black Pulcinella”, mi piace scherzare sulla verità. Come facevano Pulcinella, Totò, Eduardo, Troisi». Per un rapper, fare coming out è ancora tabù? «Non lo so, ma gli italiani si sono tutti schierati per le unioni civili. Io, però, molte cose di questo ambiente non le ho mai capite: perché Sizzla, giamaicano, fa brani contro i gay e quando viene in Italia canta nei centri sociali? Perché Elephant Man che dice “le taglio la testa e la metto nel bagagliaio” qui lo chiamano alle feste dell’Unità? Forse in Italia non sanno l’inglese e non li capiscono». In certe zone, ha detto, «non si muore solo di droga, ma anche di noia». A parte la musica, il suo antidoto qual è stato? «Mi do molto da fare, ancora oggi. Ho una squadra di calcio per bambini, e con l’associazio­ne dei fratelli Cannavaro e di Ciro Ferrara abbiamo costruito un campo di calcio a Scampia. Le istituzion­i dovrebbero lavorare in questo modo: creare più campi da gioco, più teatri, più discoteche, organizzar­e concerti. Prendere contatto con le squadre più grosse e far sì che tutti i bambini che giocano a calcio possano avere la speranza di entrare in serie A. Così si sconfigge la noia». Al Festival di Sanremo 2016 Clementino ha partecipat­o come «campione» con Quando sono lontano, e ha poi cantato Don Raffaè di De André. Si definirebb­e «buono»? «Onesto. Le volte in cui mi hanno minacciato ho subito denunciato: quando non sei molto conosciuto devi cedere, quando hai un pubblico solido che ti segue puoi dire “qua si fa come dico io, questa canzone si scrive come dico io, questo concerto in quel posto non si fa…”». Come si fa ad arrivare a questa posizione senza cedere a compromess­i? «Il mio ultimo album si chiama Miracolo!: il miracolo è stato sfuggire – non totalmente, ma abbastanza bene – alla merda intorno. Non sono nato né a Roma, né a Milano e neanche a Napoli centro, ma a Cimitile, dove c’è solo il primo campanile della cristianit­à. Arrivare a Mtv è stata una bella sfacchinat­a. Adesso gioco a biliardino con gli amici, la sera dopo vado a Sanremo e poi sto di nuovo al biliardino. Pure ai quartieri spagnoli ho tanti amici. Rimango coi piedi per terra, ma a testa alta». La sua famiglia però non «vanta» umili origini. «Mamma era l’unica di sei fratelli, figlia di un camionista e una casalinga. Da sola si è comprata i libri per andare a scuola, ha fatto ripetizion­i per pagarsi gli studi ed è diventata professore­ssa. Mio padre ha fatto l’impiegato, ma era figlio di un falegname. Io ho preso dai nonni: uno mi ha insegnato l’umiltà, l’altro a essere guerriero nel viaggiare. Clementino vuol dire generoso, ma io mi faccio chiamare anche Iena, ho una personalit­à “in e out”. Mia sorella è il contrario: io faccio rap, lei lirica. Io sono stato bocciato, lei tutti 9. Mio fratello è a metà e suona il blues». I suoi genitori hanno capito subito che con la musica faceva sul serio? «All’inizio chiamavo e dicevo “ue’ mamma, ho vinto la gara di rap”. E lei: “Che è?”. Poi ne ho vinto un’altra e un’altra ancora. Fino a che si sono detti: non abbiamo capito cosa fa, però la fa bene, vince sempre». Le piacerebbe recitare in un film? «Sì, ma aggia fa’ un ruolo vero: la comparsa già la facevo nelle fiction». Scusi? «Un posto al sole, Distretto di polizia: per stare a Roma bisognava guadagnare, e io prendevo 100 euro per dire “Pronto commissari­o, la vogliono al telefono”. Poi dice che non ho sofferto». In attesa del cinema, uno show tutto suo in Tv? «Magari! Quando facevo l’animatore, avevo un programma che si chiamava Clementime. Da solo intrattene­vo la gente per un’ora e raccontavo storie, improvvisa­vo sketch, cantavo, facevo freestyle, cabaret. Sono un vulcano, come il Vesuvio mi piace stare sempre in mienzu». Ha tatuato il numero 21, come mai? «21 sono le lettere dell’alfabeto con cui scrivo il rap, 2 + 1 è 3, il numero perfetto e, soprattutt­o, io sono nato il 21/12». È cuspide. «Non me l’ha mai detta nessuno questa cosa. Sei uno stronzo sì, cuspide proprio no». Pagg. 68-69: T-shirt, Cappellino, Giacca da smoking, Occhiali da sole e pantaloni, vintage. L’auto è una Mulsanne Speed MY16. Grooming Erica Vellini@Greenapple.

Tritolo – Butnot. Ermenegild­o Zegna. Bentley LRG.

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