Vanity Fair (Italy)

DI ESSERE BUONI

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inalmente, un bollente sabato sera milanese, sono riuscita ad andare al cinema a vedere La pazza gioia di Virzì: quanto ho pianto alla fine! Ripensando­ci, il giorno dopo, mi sono detta che avevo pianto, e che mi era piaciuto tanto, anche perché nella storia, in mezzo a personaggi segnati dalla vita e ad altri sgradevoli, c’erano delle persone buone: due medici, degli infermieri, il tassista, i genitori adottivi. Le persone buone mi commuovono.

Fon c’è alcun bisogno di essere cattivi», ha detto Angela Merkel a proposito dei negoziati che Bruxelles condurrà con Londra per l’uscita dall’Unione Europea. Già, che bisogno c’è di essere cattivi? E come mai c’è tanto risentimen­to nel mondo? Perché tanta aggressivi­tà? Vincono i voti di protesta, vincono gli indignati e gli esasperati. Vince chi radicalizz­a. Sui social, basta niente per farsi azzannare alla gola. Quando ho proposto l’argomento al direttore Luca Dini mi ha risposto: «Bel tema il risentimen­to. Ho passato il pomeriggio a rispondere agli insulti su Twitter per una battuta su Brexit che ho fatto due giorni fa».

Na anni ci diciamo che la causa principale della tensione sociale è la crisi, gli enormi problemi economici, difficili da affrontare e affrontati male dalle classi politiche dell’Occidente. Ma c’è sicurament­e altro: un senso di frustrazio­ne

Dcostante e diffuso. Per una volta do ragione al mio amico pisano che, incredibil­e, ha puntato il dito su Internet, la sua vera famiglia, scrivendo che «le persone sono state educate dai cambiament­i tecnologic­i e dalla comunicazi­one di ogni genere ad avere necessità molto maggiori di affermazio­ne di sé, molti più strumenti per cercare di soddisfarl­e, e molte più frustrazio­ni per il non riuscirvi mai abbastanza. Ci siamo convinti tutti di meritare di più, di poter ottenere di più, e di dover accusare qualcun altro se non ci riusciamo». Insomma: la comunicazi­one ci avrebbe convinto di poter avere tutto, e se non ci riusciamo ci incazziamo. n più, la società dell’immagine mente. Non credo che Beyoncé o Kate Middleton o Belén siano più o meno felici di me o della signora del negozio sotto casa: siamo tutti povere anime in cerca di un cammino. Ma pochi mettono su Instagram ritratti spettinati e trascurati, dettagli di pomeriggi depressi o di pance che strabordan­o dai calzoni. Passiamo il tempo a mostrarci nella nostra luce migliore, studiata e ritoccata, e a cercare consenso in una malintesa e un po’ disperata ricerca d’affetto che fatichiamo a sudarci nei nostri rapporti privati. Salvo arrabbiarc­i se non ci sentiamo apprezzati come crediamo di meritare.

I’sto giro va così e non è colpa di nessuno: Internet è un mezzo, ha migliorato in tanti aspetti la nostra vita, ma ha esasperato i nostri difetti, soprattutt­o la pigrizia e la superficia­lità. Essere buoni è il frutto di una scelta e di un lavoro su di sé. Faticoso. Commovente.

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