VOLEVAMO VEDERLO INVECCHIARE»
«CHE SIA UNO CHE PICCHIA LA MOGLIE, O UN MILIARDARIO FESSO CHE SI FA INCASTRARE, NON È COSÌ CHE
anni dopo che si erano lasciati), e già era fatta della materia di cui sono fatte le leggende. Non servivano i migliori laureati della facoltà di antropologia per leggere la curva: dopo l’armadillo, la tua biografia può solo diventare più noiosa.
L’età dell’argento
Quelle che ritengono troppo vistoso l’oro giallo si dividono in due tipologie. Le così di buona famiglia da indossare l’argento, nonostante il suo fastidioso côté hippy; e le così provinciali da correggere i complimenti: non è argento, è oro bianco. Non ho mai incontrato Vanessa Paradis, ma mi sono fatta l’idea che possa appartenere a un’invidiabile terza categoria: quelle il cui non bisogno di dimostrare niente a nessuno è tale che ti dicono che è argento anche se è oro bianco. Le più avvelenate per la vicenda Depp-Heard non sono quelle giustamente indignate per l’ipotesi di maltrattamenti, né quelle sicure di sapere cosa sia successo e che quindi hanno già deciso lui sia colpevole delle peggiori turpitudini. Davvero furiose sono quelle che proiettano su Vanessa la loro condizione di donne lasciate per una che-potrebbe-essere-tua-figlia. A loro non è servito aspettare la richiesta di divorzio e l’accusa di violenza, per decidere che Johnny Depp era uno stronzo: come altro definiresti uno che per quattordici anni dice che lui e Vanessa non hanno bisogno di un pezzo di carta, la loro è una comunione di anime, e poi si sposa la prima ventottenne che passa? Quando si mette con Vanessa Paradis (migliore scusa per non sposarla: «Ha un cognome così bello, non voglio rovinarglielo») Johnny Depp ha trentacinque anni. È l’età perfetta per diventare un adulto: continua a vestirsi come un cretino ma fa due figli. Dietro ogni scelta lodata dal commercialista c’è una solida compagna di vita: dopo cinque anni con Vanessa, arriva quella che se sei un attore puoi considerare la manna. Il kolossal in diversi episodi, quello che fa di te una star sullo schermo e (soprattutto) nei gadget del film, quello che ti permette – se vuoi – di non lavorare mai più o – se vuoi – di abbandonarti a perversioni che ti divertono ma non incassano (roba come The Tourist o Mortdecai), tanto i mutui dei tuoi discendenti fino alla diciassettesima generazione sono coperti. Insomma: nel 2003 arriva Pirati dei Caraibi. Che non è solo un marchio a incasso sicuro: è anche – cosa che non accade così di frequente, quando il commercialista ti consiglia di fare un film che è un parco-giochi – il veicolo sul quale Johnny Depp non si snatura. C’è un modo rapido per distinguere le ragazze banali – quelle che negli anni ’90 si accontentavano dei Brad e dei Leo – e quelle che vogliono fare le strane: le seconde dicono sempre di preferire Keith Richards a Mick Jagger. Non importa se Mick è più bello, più famoso, più tutto: loro giurano che, fin da piccole, notavano solo gli assoli di chitarra e il maledettismo fuori misura di Keith. Jack Sparrow, il pirata interpretato da Johnny, è fin dall’inizio dichiaratamente ispirato a Keith. È un messaggio per noialtre che ascoltavamo le canzoni tristi al liceo: Johnny sa cosa vogliamo da lui.
L’età della ruggine
Valgono tutte le versioni. Che Johnny picchiasse abitualmente Amber, ne sono prova le urla sentite al telefono e i cuscini insanguinati visti nella loro camera da letto (versione di un’amica di lei). Che Amber voglia incastrarlo, con una trama che ricorda L’amore bugiardo, e urlasse «Non mi picchiare» per farsi sentire da gente che, entrando di corsa in casa, vedeva che lui era a dieci metri dalla presunta maltrattata (versione della guardia del corpo di lui). Che lui le abbia tirato il telefono perché nervoso per la morte della madre; che stessero litigando perché era stato fuori fino a tardi e Amber era gelosa; che nessun telefono sia stato tirato, come dimostrerebbe la foto di Amber, tutta allegra e diversissima da quelle della denuncia, scattata la sera delle accuse e messa su Instagram da Amanda De Cadenet; che quella foto non dimostri nulla, giacché Amber aveva i capelli proprio davanti allo zigomo (presunto) contuso. Che lei fin dall’inizio abbia voluto incastrarlo e farsi dare un sacco di soldi e ora stia dimostrando d’essere una grande attrice (versione di Doug Stanhope, amico di Johnny, prontamente querelato da Amber). Che le denunce stiano per essere ritirate trasformando la vicenda in una separazione consensuale, o che sia solo una bugia di Johnny diffusa nel terrore che Amber testimoni (entrambe le versioni di Tmz, a seconda che la fonte sia amica di lui o di lei); che sia Amber a non voler testimoniare e ad aver perciò mentito dicendosi impegnata nella prova-costumi d’un film (versione dell’avvocato di lui, Laura Wasser), o che la prova-costumi non sia stata fatta perché Amber è dimagrita dieci chili per lo stress. Che Johnny non potrebbe mai fare niente di brutto a una donna, e quella Amber è di certo una mitomane (versione di Vanessa Paradis, da me parafrasata ma insomma il sottotesto è chiaramente quello). Non importa dove sia la verità (quella dei sentimenti o anche solo quella processuale), perché è comunque imperdonabile. Che sia un uomo di mezz’età che picchia la moglie ragazzina, o un miliardario fesso che si fa incastrare da una cacciatrice di alimenti, non è così che volevamo veder sopravvivere il nostro poster. La casa d’aste Christie’s ha appena annunciato che otto Basquiat del 1981, di proprietà di Johnny Depp, verranno messi all’asta. Non può essere bisogno di spicci. Dev’essere un gesto simbolico: ha deciso di mollare i souvenir di quand’era giovane e splendente, e di invecchiare, se proprio non può crescere. Si sarà messo a leggere saggistica storica (ha quell’età in cui si rifiutano sdegnosamente i romanzi) e l’avrà colpito quella tesi che la storia si ripete: la prima volta come tragedia, la seconda come farsa. Si sarà guardato allo specchio e si sarà domandato se non voglia per caso dire che quel che fino a un certo punto era stranezza fotogenica poi diventa scombinata crisi di mezz’età.