Vanity Fair (Italy)

AL CLUB DI TRUMP NON MI ISCRIVO

Con il miliardari­o-aspirante presidente condivide solo la passione per il golf. Sulle regole per gli Oscar (mai vinto) ha qualcosa da dire. Ma SAMUEL L. JACKSON, che ora vedremo nella giungla, ha soprattutt­o un rimpianto: ÇVolevo essere TarzanÈ

- Di SIMONA SIRI

Da ragazzino guardava molti film? «Sì, sono figlio unico e il sabato passavo tutto il giorno al cinema: alla mattina c’era un cartone, al pomeriggio un dramma». Come è diventato attore? «Mia zia insegnava recitazion­e a Los Angeles: è stata lei ad accendere la scintilla. E ho abbandonat­o l’idea di fare il biologo marino». Lavora moltissimo. Non le piace stare a casa e godersi il successo? «Che cos’è un attore se non recita? Gli scrittori scrivono, gli attori stanno sul set». O, a carriera avanzata, passano alla regia. «Non ne ho alcun desiderio». Quando non lavora che cosa fa? «Gioco a golf, guardo film, leggo, viaggio». Recitare e il golf hanno qualcosa in comune? «Sul set c’è un sacco di gente e il tuo lavoro è legato a quello di altri. Il golf è solitario: ogni successo e ogni fallimento è tuo e solo tuo. Ma per entrambi ci vuole concentraz­ione». Ha anche giocato con Donald Trump. «Ha cercato di farmi pagare la rata di un suo club al quale non mi ero mai iscritto, e negato di avermi mai conosciuto. Pazienza. Molti vedono un parallelo con Berlusconi, ma Berlusconi aveva acume politico». Dipende a chi lo chiede. «Su di lui ho visto un film, Il caimano: bello». Quanti Oscar avrebbe dovuto vincere? «Cinque. Jungle Fever, Pulp Fiction, Il momento di uccidere, Jackie Brown e Django». Ma i premi sono importanti o no? «No, alla fine quello che importa è che i film facciano soldi, che piacciano al pubblico». Nel 2017 l’Academy cambierà le regole per avere più diversità tra i vincitori. «Sono scettico. Uno non deve farsi piacere un film perché l’attore è nero o giapponese». Quindi lei lascerebbe tutto com’è? «No, cambierei tutto. Non mi piace che ci sia “gara” per il miglior film o il migliore attore. Competiamo per ottenere la parte; dopo, non ha senso metterci uno contro l’altro. E per decidere il miglior film basta guardare chi porta più gente al cinema. Dovrebbe esserci una categoria: miglior incasso». Quale dei suoi film ama di più? «Il momento di uccidere: ho una figlia, facile immedesima­rmi». Quale le ha cambiato la carriera? «Jungle Fever». La fama gliel’ha data Pulp Fiction. «Non passa settimana senza che qualcuno mi fermi chiedendo di recitare il monologo di Ezechiele. Ogni anno acquisto fan ragazzini. La reazione è sempre quella: “Il film più cool che abbia visto”». Ma cosa vuol dire essere cool? «Non ne ho idea. Forse stare bene nella propria pelle. Io sono così, non mi importa di quello che pensano di me, non ho guardie del corpo né autista, faccio shopping da solo. Sono un tipo normale, ho solo un lavoro interessan­te». Su Twitter ha discusso con un fan secondo cui un suo film, Snakes on a Plane, era brutto. «Non mi scuserò mai per i film che faccio. Il mio lavoro è farvi divertire. Se volete imparare, andate a vedere dei bei documentar­i».

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