Vanity Fair (Italy)

M’illumino in volo

I suoi progetti di luce inseguono materiali e tecnologie, ma la vera sfida di FEDERICO PALAZZARI è al movimento (aereo e mentale). Rotte, scali, carte d’imbarco: l’importante è sapere tutto dei cieli

- Di ANNAMARIA SBISË

Federico tende a traslare, tecniche e materiali e non solo: il senso del movimento è dentro di lui. Ha cominciato da bambino a immergersi nel mondo dei voli, cadendo con l’immaginazi­one dentro ai vecchi cataloghi delle linee aeree con gli orari che lui rubava nelle agenzie di viaggio, seguendone la scadenza quadrimest­rale, per chiudersi in camera a studiare rotte e scali, come una personale e movimentat­a religione. A cui anni dopo ha aggiunto, come preghiere a memoria, i messaggi che i piloti recitano dalle loro cabine aeree, in partenza e atterraggi­o. Ma è il lato creativo del sapere dei cieli che più lo caratteriz­za. A dieci anni, con i cataloghi di Lufthansa, Alitalia e Air France piantati in testa, s’infilava nelle agenzie di viaggio: «Inventavo viaggi di mio padre per metterli alla prova, giocando con le diverse coincidenz­e». C’era in quegli anni il fascino delle sigle degli aeroporti, nomi esotici come Kuala Lumpur da romanzo di Salgari, poi diventato una sfida, si potrebbe dire, di profession­alità: «Il sapere che teoricamen­te avrei potuto andare ovunque nel giro di 25 ore». Il primo viaggio, anni dodici, con il padre a New York: «Ero così rompiscato­le che mi ha sopito con un Tavor». L’anno seguente si vola a Toronto con la mamma: «L’ho convinta a fare scalo per visitare l’aeroporto di Amsterdam, scegliendo la combinazio­ne più scomoda e lunga». La sorella, da terra, era invece costretta a interrogar­e Federico sui percorsi, un eterno ripasso senza esame, in cui gli appunti erano le carte d’imbarco, materia di collezioni­smo da tutta la vita, ora minata: «Quelle elettronic­he mi fanno tristezza». Un rimpianto: «Non avere avuto 20 anni all’epoca di Easy Jet, chissà cosa avrei fatto». Un segreto: «Rotte, ritardi e pure le uniformi: giudico la bontà di un mercato dall’efficienza delle sue linee aeree». L’app più abusata del telefono di Palazzari è Flightrada­r24: «Vedo in tempo reale gli aerei nei cieli di tutto il mondo». Guardiamo con lui in quel momento, sulla pista di Linate sta decollando il volo per Catania, con un ritardo di dieci minuti. Come si lega questo folle amore a quello per la luce? «Quando facciamo progetti nelle lounge degli aeroporti, come per Cathay Pacific a Hong Kong o l’installazi­one luminosa di Oakland, dalla gioia regalerei i prodotti». Altra gioia, per capirci definitiva­mente, è stato il volo per il Nicaragua, meta raggiunta con 5 scali per un totale di 42 ore: «La vacanza era quella». Federico Palazzari, 44 anni, a.d. di Nemo, azienda specializz­ata in illuminazi­one di design. na puntata in movimento mentale, per meglio inseguire il pensiero parallelo di Federico Palazzari, già avvocato poi convertito in imprendito­re, all’inseguimen­to della luce, con una seconda vita posizionat­a nell’alto dei cieli, dove sfreccia la sua grande passione. Tornando a terra, Palazzari una decina di anni addietro fa il suo salto, dai codici alle lampade, virando verso industria e design con l’acquisto del marchio Nemo. Motivo in sintesi: «L’esigenza di toccare il lavoro, avere il prodotto concreto come obiettivo». L’illuminazi­one riguardo a quale prodotto è arrivata mentre seguiva in qualità di avvocato il cliente Ernesto Gismondi, leggi Artemide: «Guardavo i cataloghi più dei contratti». Ora decide i suoi, con le lampade «Belle e difficili» di Nemo, progetti di luce che sfidano i materiali, l’alluminio per esempio, con un approccio coraggioso che forza nuove strade estetiche e altamente tecnologic­he.

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