A TUTTA EXIT
è vita dopo la Brexit? No, sì, nì. La Brexit è un evento che interessa soprattutto l’Europa, ma strappi considerati clamorosi ci sono, o vorrebbero esserci, ovunque. Prendete il Texas: repubblica indipendente dal 1836 al 1845, ancora oggi celebra la sua festa nazionale, il 2 marzo. Ora il Movimento nazionalista, a pochi mesi dalle presidenziali, preme per un altro voto: un referendum per sancire la Texit, l’uscita dagli Stati Uniti.
CSe l’Unione Europea teme l’effetto domino, il Regno Unito a sua volta ha una paura simile: non soltanto l’uscita di Scozia e Irlanda del Nord, ma pure la ne del Reame del Commonwealth, cioè le ex colonie che riconoscono il sovrano britannico come capo di Stato: in tutto sono 15, tra cui Canada, Australia, Nuova Zelanda, Papua Nuova Guinea, Giamaica e Barbados. E proprio l’isola di Rihanna potrebbe presto salutare la regina Elisabetta, così come promesso dal governo, che per il 2017 sta preparando la riforma dell’ordinamento statale. La Ue è da sempre, nel bene e nel male, un esempio per altre organizzazioni internazionali regionali. E come ne ha favorito la nascita, adesso può fare da volano alla loro crisi. La Brexit avrebbe portato scompiglio, per esempio, in una delle zone più turbolente del mondo: il Medio Oriente. Voci, finora smentite, riferiscono che l’Oman sarebbe pronto a lasciare il «club» delle ricchissime monarchie del petrolio, quel Consiglio di Cooperazione del Golfo di cui fa parte insieme con Arabia Saudita, Emirati, Kuwait, Qatar e Bahrein. Le ragioni sarebbero politico-religiose: l’Oman è l’unico ad avere buoni rapporti con il dirimpettaio Iran, sciita, che è inviso agli altri regni, sunniti.