L'AMORE NON é SINGOLARE
Ha messo al plurale la parola «famiglia» ed è stato criticato. MARCO GIUSTA, assessore a Torino, ha un motivo in più per farlo
Dovrà occuparsi delle «famiglie» torinesi, lui che è cresciuto in una famiglia «non convenzionale» e una ancora meno convenzionale ne ha formata, da grande, con il suo compagno. Marco Giusta, 34 anni, dal primo luglio siede al Comune di Torino, di fianco alla neosindaca Chiara Appendino, con l’incarico di assessore alle Pari Opportunità e la delega alla «Politica per le famiglie». E quel plurale ha scatenato le proteste di gran parte del mondo cattolico e di parte del Pd. Quel plurale che comparirà in qualunque atto ufficiale del Comune di Torino, dal modulo per l’iscrizione del figlio all’asilo nido agli ordini del giorno dei consigli comunali, «è un tratteggio linguistico», spiega. «Cambiando le parole, cambia anche la sensibilità».
Ossia? «Saremo più disponibili a prenderci carico delle situazioni familiari diverse da quella classica alla “Mulino Bianco”, ma altrettanto concrete. Parlo delle famiglie composte da una madre vedova, da un papà divorziato e sì, anche delle coppie omogenitoriali». Pochi giorni fa ha detto, citando la sociologa Chiara Saraceno, che «non c’è niente di meno naturale della famiglia». «Dico che la famiglia è una costruzione della società che cambia nel tempo. E noi, come amministratori, ci dobbiamo adeguare al suo cambiamento. Anche nel linguaggio». Lei non ha mai fatto parte del Movimento. In passato che cos’ha votato? «Il voto è segreto...». Riformulo: mai votato Movimento 5 Stelle? «Sì, quest’ultima volta». Non vale, al momento del voto lei conosceva già Chiara Appendino. «Prima delle elezioni, in effetti, come membro dell’Arcigay, l’avevo incontrata. Avevamo chiacchierato molto di diritti. Per questo decisi di mandare il mio curriculum per candidarmi a un incarico tecnico». Molti hanno criticato la sua scelta di entrare nella giunta di un partito che sui diritti delle coppie di fatto non ha mai avuto una posizione netta. «Non m’interessa il dibattito nazionale. A Torino ho visto una persona come Chiara con un impegno preciso e ho voluto sostenerla. La decisione di declinare al plurale la mia delega alle famiglie è nata di comune accordo». Lei in che famiglia è nato? «Credo che mia madre fosse una donna giovane e preferì lasciarmi a un’altra coppia. Sono stato adottato da Lea e Fulvio. Lei casalinga, lui ex militare, poi impiegato in banca. Mi hanno detto la verità appena ho compiuto sei anni». Non ha mai cercato la sua madre biologica? «I miei genitori sono quelli che mi hanno adottato. Mi hanno insegnato il senso della giustizia, l’amore e il coraggio. Perché mai dovrei andare alla ricerca di qualcun altro? Sono la dimostrazione vivente che è l’amore a creare una famiglia». Dai suoi genitori ha ricevuto una formazione cattolica? «Sì. Quando ci siamo trasferiti da Cuneo a Boves, paesino di provincia, sono diventato animatore dell’oratorio della parrocchia, poi responsabile dei campeggi». Un ragazzo di chiesa. «Diciamo che con il passare del tempo mi sono allontanato dalle posizioni del Vaticano». Anche perché poi sono iniziate le sue lotte per i diritti degli omosessuali. «Ho iniziato a capire l’universo gay a 18 anni, in occasione del World Pride di Roma del 2000. A Torino, dove mi ero trasferito per studiare psicologia, sono diventato prima presidente dell’Arcigay cittadino, poi membro della segreteria nazionale». Si è mai sentito discriminato? «No, Torino è una città molto tollerante. E la mia famiglia è stata fantastica». Ha mai voluto sposarsi? «Ho un compagno, che amo, da cinque anni. Ci stiamo ragionando, ma con calma». Quando fece coming out? «Avevo 23 anni. Ero tornato a casa da un viaggio in Sardegna finito con una delusione amorosa. Era il compleanno di mia madre e le ho regalato un foglietto con su scritto: “Ti do il permesso di farmi una domanda”. Lei non ha capito subito. Le ho detto: “Chiedimi dove sono stato in questi giorni”. Da lì abbiamo cominciato a parlare». Come hanno reagito, poi, i suoi genitori? «Si sono commossi. Hanno detto che ero loro figlio, che mi avrebbero sempre voluto bene e mi hanno ringraziato di averli resi partecipi. Abbiamo parlato tutta la sera di diritti, di uguaglianza e di matrimonio. Insomma, di famiglie».