Un figlio non ti cambia
Per AMANDA PALMER, artista pop iconoclasta, il momento è prolifico. Ha inciso un disco con suo padre, sta per tornare con la sua band, i Dresden Dolls, ed è diventata mamma. Ma, in fondo, tutto è uguale a prima
La maternità ci cambia? Sarebbe facile dire di sì, ma Amanda Palmer non è mai stata tipo da risposte facili. «Sinceramente non mi sento diversa da prima, ma è anche vero che ho fatto un figlio a 39 anni, e non è come farlo a 19. Ci ho messo tanto a decidere, un percorso non semplice. Sono rimasta incinta a 17 anni e ho abortito, e non è stata l’unica volta; ma quando mi sono sentita pronta, ero pronta. Credo che se sei il tipo che va con serenità per il mondo, l’arrivo di un figlio ti farà sentire ancora di più l’amore; se sei piena di paure ti farà probabilmente diventare più ansiosa. Alla fine un figlio funziona come una lente di ingrandimento di quello che sei». Il bambino che Amanda ha avuto dieci mesi fa dallo scrittore Neil Gaiman si chiama Anthony e se ne sta felice tra le braccia del nonno Jack sulla copertina di You Got Me Singing, l’album di cover che una delle più iconoclaste artiste pop in circolazione ha inciso con suo padre, Jack Palmer, 72 anni. Sono ballate unplugged di Leonard Cohen, Sinéad O’Connor, Richard Thompson, John Grant, c’è anche una ninna nanna di epoca vittoriana. Lei canta, suona il piano e il suo adorato ukulele; il papà (che canta nel coro di una chiesa) ci ha messo la chitarra e una bella voce calda e baritonale alla Johnny Cash. Il risultato è di una serenità e intimità che non ti aspetti da un’artista che i più gentili paragonano a uno tsunami e i fan chiamano amorevolmente «Amanda Fucking Palmer». «È stata un’esperienza meravigliosa», racconta adesso. «L’abbiamo registrato quand’ero incinta al settimo mese. Non poteva esserci un’occasione più bella anche sul piano simbolico, ed è stato il periodo più lungo che ho trascorso insieme a mio padre in tutta la mia vita». I genitori della cantante, nata a New York e cresciuta a Boston, hanno divorziato quasi subito dopo la sua nascita, lei è rimasta con la madre. «Se mi chiedi: avresti mai pensato dieci anni fa di incidere un disco con tuo padre? La mia risposta è: sì. Da quando, nel 2009, gli ho chiesto di salire sul palco a un mio concerto». Avevano cantato un pezzo di Leonard Cohen, come quello che ora dà il titolo al disco, «e meno male che ha buon gusto in fatto di musica, altrimenti sarebbe stato un problema scegliere i pezzi!». Poche settimane fa Amanda ha inciso (grazie ai finanziamenti che le arrivano dai fan con il programma di crowdfunding Patreon) anche la cover di Laura, un pezzo di Bat for Lashes: «È il nome della compagna del mio più caro amico, morto poco tempo fa; si chiamava Anthony, come mio figlio». Un bell’intreccio di vita, nascita, morte, quello che sta dietro all’album: «Più di tutto è il ritrovarsi, e imparare a perdonare, gli altri come se stessi. La musica sa come unirci». A proposito di unioni, per la Palmer ce n’è in arrivo una che ha mandato subito in fibrillazione i seguaci: il ritorno dei Dresden Dolls, il mitico duo punk cabaret che la lanciò insieme a Brian Viglione. Solo due le date annunciate, il 26 agosto a Boston e il 27 al Coney Island Boardwalk di Brooklyn, ma conoscendola non si possono escludere sorprese.