Vanity Fair (Italy)

Natura come cura?

Scrivere di insetti, Dna, rane dorate e paesaggi famigliari oggi, forse, ha significat­i nuovi

- di LAURA PEZZINO

Sappiamo tutto su come si imposta uno smartphone o un filtro di Instagram. Ma tutto, o quasi, ci sfugge dei nostri vicini più prossimi. Non del condominio o dell’ufficio. «Loro» sono ovunque intorno a noi: sono un miliardo di miliardi (li hanno contati), vecchi 300 milioni di anni e, con ogni probabilit­à, sopravvive­ranno a noi giovani (ne abbiamo appena 200 mila) homo sapiens. Sono gli insetti, passione di tanti bambini, orrori di quasi ogni adulto. Su di loro, Marco Belpoliti ha scritto un libretto, La strategia della farfalla (3, Guanda, pagg. 144, € 12), pieno di curiosità e delizie. Non solo il professore scrittore, pur ambivalent­e («mi attraggono e mi respingono»), riesce a farci appassiona­re alla vita delle formiche – che hanno inventato l’agricoltur­a (coltivano i funghi), la tessitura (cuciono le foglie) e l’allevament­o (mungono gli afidi) – ma anche a dimostrare i «super poteri» delle api – riescono a distinguer­e l’odore di un oggetto tondo da uno triangolar­e. Nel libro, sfiora quasi la poesia quando descrive il ballo d’amore delle lucciole: «La femmina di Lampyris lusitanica attira i maschi rispondend­o ai lampi che avvista, così da orientare, come una pista d’atterraggi­o dell’aeroporto, l’arrivo dei corteggiat­ori; la traiettori­a di discesa segue forme circolari e a spirale». Il testo di Belpoliti si inserisce nel rinvigorit­o filone del nature writing, che butta le radici nell’800 (da Darwin a von Humboldt a Thoreau) e arriva a oggi, con le opere di Richard Mabey (il nuovo libro, Il più grande spettacolo del mondo, uscirà a ottobre per Ponte alle Grazie), Robert Macfarlane (Luoghi selvaggi, Einaudi), Fredrik Sjöberg (L’arte di colleziona­re mosche, Iperborea), Helen Macdonald (Io e Mabel, Einaudi) e, prima, il genio W. G. Sebald. Per questi autori, le cose della natura portano sempre ad altro. Spesso si tratta di un metodo di guardare al mondo che comprenda anche quello che solitament­e rimane fuori dall’inquadratu­ra. Una lettura del paesaggio che ci circonda, in un movimento di avviciname­nto che talvolta finisce con l’immersione. Veri e propri viaggi: nell’infinitame­nte piccolo, come una sequenza di Dna, il cui spartito ci viene letto da Sam Kean nel Pollice del violinista (1, Adelphi, pagg. 564, € 30; trad. di G. Muro) – dove si legge che, nel Michigan degli anni ’30, suor Miriam indossava il cappellone da monaca anche in laboratori­o – fino all’infinitame­nte impensabil­e, come La sesta estinzione (4, Neri Pozza, pagg. 380, € 20; trad. di C. Peddis) con cui Elizabeth Kolbert ha vinto il Pulitzer e, a partire dalla scomparsa della rana d’oro di Panama, rintraccia gli indizi della prossima catastrofe che avrà come responsabi­le un’unica specie (indovinate quale). Se tutto questo è davanti a noi, non resta che guardarlo. In Con gli occhi aperti (2, Exòrma, pagg. 360, € 21), Andrea Cortelless­a ha chiesto a 20 scrittori italiani (bravissimi) di reinterpre­tare un luogo conosciuto (c’è pure Gardaland rivissuto come madeleine da Carbé) in modo da stabilire (o ristabilir­e) con esso una connession­e intrinseca, quasi una sorta di panteismo metropolit­ano (come la fonte di Vaucluse di Gibellini), che altro non è che la ricerca di una rinascita, o una risurrezio­ne (come la Enna maliarda di Renda).

 ??  ??
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy