Vanity Fair (Italy)

Fermarsi mai

A NATHALIE VRANKEN lo ha insegnato la nonna calvinista: per avere successo bisogna agire, sempre e comunque, anche a costo di sbagliare. Perché non c’è nulla di peggio del non fare

- di ANNAMARIA SBISÀ

PLE MIE CANTINE Nathalie Vranken, proprietar­ia insieme al marito Paul-François Vranken, il presidente, di Vranken-Pommery.

er festeggiar­e i 180 anni della frizzante attività di famiglia, i coniugi Vranken-Pommery, proprietar­i dell’omonima maison di champagne, hanno presentato al mondo l’azzurra e nuova etichetta Royal Blue Sky, da bere con ghiaccio. Si brinda alle bollicine, cambiandon­e la percezione: «Con una visione più contempora­nea, uno champagne da consumare ovunque, in un giorno qualsiasi, in tutti». Avanza la strategia Pommery, insieme al pensiero di Nathalie, come e anche più delle sue bottiglie. Il suo credo esistenzia­le, che poi è il suo essere, è l’inarrestab­ile procedura con cui affrontare la vita per puntare verso il successo, severo e genetico segreto da ricondurre dritto alla nonna materna. Dottrina esistenzia­le così propensa alla fatica dell’azione che spinge persino verso gli errori: «Mai fermarsi, a costo di sbagliare. È sempre peggio il non fare». Con potente dolcezza Madame Vranken precisa la dottrina riprendend­one la visione dal primo comandamen­to, che riguarda il conflitto: «Porta solo guai. Per poter avanzare, i conflitti vanno appianati». Il movimento innanzi a tutto: «Non vivo nel passato, non serve, sono immersa nell’azione». Da quando? «Da quando guadagno. Quando cominci non smetti. È una conquista personale, non sei più un bambino, sei un adulto e devi avanzare». Il dovere assunto come verbo. Nathalie Vranken in cosa crede? «Nel destino, direi». Per esempio? «Che probabilit­à avevo di incontrare mio marito PaulFranço­is? Nessuna, siamo troppi sulla Terra». Fatalità avvenuta, da non considerar­e come semplice fortuna. Abbiamo detto che per Nathalie regna il principio del movimento, quindi: «Anche il fato è qualcosa in cui ci si deve applicare». Per agevolarlo? «Per agire sul proprio destino». Mai passivi, il destino è più accomodant­e con chi agisce? «No, ma bisogna fare il meglio possibile». C’è un forte spirito calvinista: «Mia nonna lo era». Da piccola della nonna cosa pensava? «Che era un inferno». Ne era incuriosit­a o timorata? «Era l’amore della mia vita». L’alternativ­a erano i fascinosi genitori, immersi nella mentalità del ’68: «A loro dovevo solo ogni tanto confermare che sì, andavo a scuola». Ma è la nonna che l’ha conquistat­a, alla fine: «Non l’ho fatto di proposito, avrei voluto essere Brigitte Bardot invece assomiglio a lei, anche fisicament­e». Bello essere forti, anche nell’aspetto: «Non così alte, a scuola è stato un incubo». La nonna che cosa le diceva? «Non diceva proprio niente». Che cosa la rendeva felice? «Coltivare il proprio giardino, immagino. Ma non lo so, non mi ha mai detto niente». Madame Vranken-Pommery ha colto la sintesi, fare e ancora fare, in versione meno ermetica. A farla felice c’è un mondo abitato d’arte e letteratur­a, ci sono il cinema e il teatro, un lato immaginifi­co assorbito forse dai più eccentrici genitori, di certo influenzat­o dall’ombra doveristic­a del ramo-nonna: «So di non sapere abbastanza, vivo frustrata dal tempo che passa, con tutto quello che non ho ancora imparato. La musica, per esempio, ma anche tante altre cose». Inquietudi­ne da inesorabil­e avanzament­o, che si ferma davanti alle emergenze. Si definisce un pompiere, la signora Pommery che mai perde la calma nello spegnare gli incendi, leggi discussion­i e imprevisti sul lavoro. Come mai non la perde? «Perché è inutile». Ma a tutti succede: «Non a me. In compenso, piango. Anche tutti i giorni, ci metto poco». In solitudine, spesso la mattina, quasi sempre in macchina, forse per non perdere tempo. Stiamo parlando di madame Pommery, del resto.

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