Vanity Fair (Italy)

Scusi, quanto viene un golpe?

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Il golpe turco — o qualunque cosa fosse — è stato breve, e a quanto risulta dalle cronache del giorno dopo persino disorganiz­zato, destinato insomma al fallimento fin dall’inizio. Resta dunque il dubbio che il principale beneficiar­io del mancato colpo di Stato dei militari fosse proprio Recep Tayyp Erdogan, il Sultano di Turchia al quale non piacciono i dissidenti, che mette il bavaglio alla libera stampa e vuole costruire una repubblica presidenzi­ale (che di fatto già esiste, ma manca una cornice costituzio­nale a legittimar­la ed Erdogan non ha i numeri per farlo). Alla fine, autoinflit­to o no, il golpe ha momentanea­mente rafforzato sul piano interno il Sultano, che ne ha approfitta­to per prendersel­a con le opposizion­i, anche con chi non ha partecipat­o al tentativo di rovesciarl­o. Dopo il putsch (costato 312 morti e 1.491 feriti, più vari pestaggi, foto) ha cominciato a far piazza pulita (via 3 mila giudici e 7 mila poliziotti, arrestati). Ha chiesto agli Usa di consegnarg­li il suo vecchio alleato Fethullah Gülen, predicator­e e magnate che vive in Pennsylvan­ia dal 1999, ritenendol­o l’ispiratore del golpe. Nei confronti di Erdogan, tuttavia, nel resto del mondo c’è sempre scetticism­o e poca stima, nonostante il recente tentativo di uscire dall’isolamento riprendend­o un dialogo con Israele e con la Russia. Ci si chiede se dare la cittadinan­za turca ai 2 milioni di rifugiati siriani serva ad aiutare chi scappa dalla guerra o a guadagnare consensi in caso di elezioni politiche, al fine di riscrivere poi la costituzio­ne turca; ci si chiede se Erdogan combatta davvero il terrorismo o se, attaccando i curdi, che lottano contro l’Isis, in realtà non lo favorisca. E ci si chiede perché la Turchia, con le sue violazioni dei diritti umani, debba entrare in Europa. Soprattutt­o ora che Erdogan intende reintrodur­re la pena di morte.

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