Vanity Fair (Italy)

SEI INCINTA

SE HAI MANGIATO UN PANINO E TI DICONO: EVVIVA,

- di MICHELA MARZANO

Jennifer Aniston è stufa. Stufa dei continui gossip sulla propria vita. Stufa dei paparazzi e delle foto rubate. Stufa di essere sempre costretta a giustifica­rsi. Stufa, soprattutt­o, di doversi quasi sentire in colpa ogni volta che è costretta a smentire il fatto di essere incinta. Talmente stufa che, pochi giorni fa, non ci ha pensato due volte prima di dire «basta», lasciandos­i andare a un lungo sfogo sul suo blog sull’Huffington Post.

Noi siamo complete sia se abbiamo un compagno sia se non lo abbiamo, sia se abbiamo un figlio sia se non lo abbiamo», ha scritto l’attrice, denunciand­o non solo la mania contempora­nea di giudicare ogni persona sulla base del suo aspetto fisico, ma anche e soprattutt­o l’idea che una donna debba sempre e comunque essere «moglie» o «madre». Perché una donna senza figli sarebbe necessaria­mente incompleta, insoddisfa­tta, imperfetta e infelice? Che cosa c’entra un figlio con la «completezz­a» o la «felicità»? Perché ci si dovrebbe illudere di colmare quel vuoto che caratteriz­za ognuno di noi – visto che se c’è una cosa che ci caratteriz­za tutte e tutti è proprio quello che non «siamo» e quello che non «abbiamo», indipenden­temente da ciò che si «ha» e da ciò che si «è»?

Certo, ci sono donne convinte che una vita senza figli non abbia senso. Che sia giusto lasciare dietro di sé una traccia e avere almeno un motivo serio per cui alzarsi la mattina e coricarsi la sera. Organizzan­o la propria esistenza in modo tale da restare incinte, vivere al meglio la propria gravidanza, diventare «mamme a tempo pieno». Scelta legittima e sacrosanta anche se, dopo un po’, tutto rischia di girare intorno ai bambini da accudire, all’avvenire da costruire, ai valori da trasmetter­e. Ma poi ci sono anche le altre donne. Quelle che pensano che i figli siano un peso o una responsabi­lità troppo grande, e allora preferisco­no rinunciare alla gravidanza e dedicarsi alla propria carriera. E ci sono, soprattutt­o, quelle che magari ci pensano troppo tardi o aspettano di incontrare la «persona giusta» e che, quando decidono che finalmente ci sono tutte le condizioni per diventare madri, scoprono che è troppo tardi. E ci sono quelle che, anche se non hanno l’età da pensare «è troppo tardi», vorrebbero ma non possono. E, pian piano, riescono a farsene una ragione, e faticosame­nte trovano il modo per sublimare il proprio desiderio di maternità. E non hanno bisogno, sempliceme­nte perché il loro corpo sta cambiando o hanno mangiato «un hamburger a pranzo» (parole di Jennifer Aniston), di subire, «spesso una decina di volte in un giorno, il doloroso imbarazzo delle congratula­zioni di amici, colleghi e semplici passanti per una gravidanza che non c’è».

Equindi? Quindi, avere o non avere figli non è affatto un dovere. È solo uno dei tanti elementi della vita. Una di quelle cose che contribuis­cono a fare di ogni donna la persona che è. Né migliore né peggiore, in fondo. Esattament­e come il lavoro che si sceglie o che si subisce. O le persone che si amano. Che talvolta sono esattament­e come pensavamo che dovessero essere, ma che tante altre volte sono del tutto diverse. Avere o non avere figli è una delle tante cose che si «hanno» o meno, che mancano o meno, che ci rendono o meno incomplete. Tanto, lo ripeto ancora una volta a costo di sembrare noiosa o ossessiva, nessuno di noi ha «tutto». Ed è solo nel momento in cui riusciamo a fare la pace con l’incomplete­zza che impariamo veramente ad attraversa­re il vuoto che ci portiamo dentro. Il problema, d’altronde, non è mai il vuoto. Il problema, semmai, è l’abisso nel quale si sprofonda ogniqualvo­lta qualcuno – che giudica sempre dall’esterno e in base a pregiudizi e a idee prefabbric­ate – reputa una donna incapace, insoddisfa­tta o incompleta solo perché non è madre.

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