Vanity Fair (Italy)

IO SONO IL SOGNO

Serena Williams

- di FERDINANDO COTUGNO

Voi potete pensare che sia facile essere Serena Williams. Avere il talento per vincere a Wimbledon il titolo Slam numero 22 (come Steffi Graf, meglio di loro solo Margaret Smith Court), essere la sportiva più pagata al mondo (dietro 39 uomini) e forse la più grande atleta di tutti i tempi. Lei rispondere­bbe: «Sono una donna nera in uno sport che non era pensato per i neri», come ha scritto su Wired. Serena Williams è anche una donna afroameric­ana, nell’America che nel 2015 ha visto più neri uccisi dalla polizia di quanti furono linciati nel 1892, l’annus horribilis della segregazio­ne razziale. È anche donna in uno sport dove il capo della federazion­e russa tennis, Shamil Tarpischev, può parlare di lei e sua sorella Venus come dei «fratelli Williams», come a dire: non sono vere donne. Tarpischev è stato multato e sospeso, ma nel 2001 al torneo di Indian Wells, negli Usa, Serena e la sua famiglia furono coperte di insulti razzisti. Cercate i commenti agli articoli che parlano di lei: minimizzan­o le sue vittorie, le rinfaccian­o i muscoli, la forza fisica, lo stile. Lei non si è mai nascosta dietro record, coppe e sponsor. Agli uomini e alle donne di Black Lives Matter, il movimento anima della protesta afroameric­ana, ha detto: «Continuate così, non fatevi fermare dai troll». Prima della finale di Wimbledon, ha recitato i versi di una poesia di Maya Angelou: «Portando i doni che i miei antenati mi diedero / Io sono il sogno e la speranza dello schiavo / Mi sollevo / Mi sollevo / Mi sollevo». Dopo la partita ha sorriso e alzato un pugno chiuso. Ha vinto per se stessa e ha chiesto una rivoluzion­e per tutti.

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