BUTTATO TUTTO FUORI»
Oggi come oggi potrei benissimo creare una canzone triste e tormentata senza per forza esserlo, solo attingendo a stati d’animo ed emozioni passate. Adesso la mia priorità è servire la musica: quando scrivo, faccio quello che può rendere la canzone la migliore possibile. Mentre compongo arrivo sempre a un punto in cui mi chiedo se sia meglio prendere la strada della fantasia o rimanere fedeli alla realtà: la verità è che non c’è una risposta giusta o sbagliata, dipende dalla situazione. Ha presente i film tratti da una storia vera? Ecco, per le canzoni è un po’ lo stesso: sono basate sulla realtà, ma non sono mai del tutto reali». Quindi nel caso di brani come Cry Me a River scrivere è catartico? «Esatto. Lo fai perché devi buttare tutto fuori, e poi stai meglio». Prima parlava dell’infelicità come del sentimento di chi si sente escluso. Lei l’ha mai provato? «Da ragazzino, come capita a tanti». Ma lei a 12 anni era già una piccola star, protagonista del programma Tv The Mickey Mouse Club. «Appunto. Siccome ballavo e cantavo, gli altri bambini mi guardavano e trattavano in modo diverso. E io stesso mi sentivo diverso, quasi non appartenessi al loro mondo. In fondo è stato un bene, perché mi ha fatto scoprire che cosa ci fosse in me di speciale». Adesso che è adulto e può valutare con una prospettiva, pensa che diventare famosi da molto giovani sia rischioso? «Nel diventare famosi c’è sempre una componente di rischio e, certo, da bambini è più alta. I bambini dovrebbero rimanere tali il più a lungo possibile. Io sono stato fortunato perché ho potuto continuare ad andare a scuola, giocare nella squadra di pallacanestro, prendere brutti voti e fare a botte con gli amici». Ad altri attori bambini non è andata così bene. Che cosa ha impedito a lei di perdersi o di rimanere un viziato a vita? «La famiglia. Io e mia madre siamo sempre stati molto uniti e, anche se i miei genitori hanno divorziato presto, lei si è risposata quando avevo 5 anni, quindi in casa una figura paterna non è mai mancata. E poi ero molto vicino a mio nonno, che purtroppo è morto tre anni fa». La prima volta davanti a un pubblico se la ricorda ancora? «Il primo ricordo di me su un palco risale a quando cantavo gospel in chiesa. E poi c’è stato un concorso canoro a cui avevo supplicato mia madre di portarmi. Lo vinsi. Ricordo che la mamma disse: “Ma allora vuoi davvero cantare!”». Si sente diverso come artista da quando è diventato padre? «La paternità ti cambia chimicamente. Ogni molecola del tuo corpo si trasforma. Non so se compongo le canzoni in modo diverso, forse è troppo presto per dirlo, ma di sicuro sono diverse le motivazioni. Prima di Silas ogni scelta professionale riguardava me e solo me. Facevo cose per divertirmi, per sperimentare. Ora sento molto forte la responsabilità di provvedere a lui e alla mia famiglia, per cui mi concentro di più su quello che so fare bene». Diventare padre è come se lo era immaginato? «Non si può esprimere a parole. Quando gli amici con figli mi dicevano che era inspiegabile, io non ci credevo, e invece avevano proprio ragione. È un’esperienza che ti cambia la vita per sempre. L’altro giorno io e Jessica ci siamo guardati e ci siamo detti: “Ma come facevamo prima?”. Da quando è nato Silas sembra impossibile pensare a un tempo in cui non c’è stato». Ho letto un’intervista in cui discuteva di pannolini: non mi dica che è in quella fase in cui parla di cacca tutto il tempo. «Non tutto il tempo, ma è un argomento di conversazione, sì. Ecco, cambiare i pannolini è un’altra di quelle cose che quando ti raccontano che la farai ti sembra impossibile e invece, quando ci sei, diventa assoluta normalità». Lei è nato nel Tennessee: voi del Sud avete fama di essere dei gentiluomini, molto galanti, sempre educati, persino un po’ formali. Si riconosce nello stereotipo? «Le buone maniere fanno parte del nostro Dna, come la passione per voi italiani. In casa dei miei genitori parole come “grazie, prego, per favore, scusa” erano d’obbligo, così come aprire la portiera della macchina a una donna o spostare la sedia per farla sedere. Noi del Sud crediamo nella parola data, nella lealtà e nell’onestà: sono valori che abbiamo nel sangue». Dica la verità: ma lei non è mai di cattivo umore? Mai, mai, mai? «Scherza? Certo che lo sono. È che non mi ha mai visto al mattino appena sveglio, prima del primo caffè». In alto, il cantante con il suo ex gruppo, gli ’NSync, «riunito» per i 40 anni di JC (al centro). Sopra, una scena di Trolls.