SIGNORA FRANCA
Mia madre ammirava molto la sua coetanea Franca Pilla, diceva che aveva «un bel faccino, una bella testa e un bravo marito», e quando un giorno sentì che aveva parlato di «Tv deficiente» mi telefonò chiedendo: «Non ce l’ha mica con te, vero?». Finsi di escluderlo. Avevano lo stesso look – messimpiega, rossetto, collana, spilla – ma mia madre le invidiava soprattutto quel matrimonio perfetto con Carlo Azeglio Ciampi, perché si amavano così tanto ed erano sempre insieme, mentre il suo di marito l’aveva lasciata sola a cinquantanove anni. Anche i miei genitori, come i Ciampi, si erano sposati a Bologna nel ’46, «coi cichetti sotto le scarpe», le toppe, perché era appena finita la guerra e le suole erano bucate.
Franca Ciampi è stata molto amata dalle donne italiane, perché dopo tanto tempo era la prima moglie di presidente della Repubblica che diceva la sua, era spontanea e intelligente, e «si capisce che non si fa mettere i piedi in testa da nessuno, neanche dal protocollo del Quirinale». Ma soprattutto le donne l’amavano, e la amano ancora, per quel matrimonio da favola, un matrimonio dove per settant’anni «non si va mai a letto litigati», come disse una volta il presidente commuovendo mezza Italia. Ricordo di aver letto a mia madre un’intervista che fecero «alla signora Franca» in occasione degli ottant’anni del marito, allora al Quirinale, dove lei raccontava del loro colpo di fulmine, quando avevano diciotto anni e studiavano alla Scuola Normale di Pisa. Raccontava che il futuro governatore della Banca d’Italia, e futuro presidente, era «bello e timido e molto corteggiato». Ma aveva scelto lei, piccola e magrolina, e da allora non si erano mai più lasciati. E diceva, a ottant’anni suonati, che lo amava tantissimo, proprio con queste parole: «Lo amo così tanto… Non riusciamo a fare a meno l’uno dell’altra». E mia madre giù, a sospirare.
Carlo si laureò in Legge, Franca in Lettere, poi lui andò soldato e quando finì la guerra si sposarono. Avevano 26 anni. Andarono a vivere a Livorno, la città di Carlo, che voleva fare il professore, e iniziò a insegnare latino e italiano (intanto si era laureato anche in Lettere, perché era un secchione) al liceo classico. Fino a che lei un giorno gli dice: «Carlo, fai il concorso in Banca d’Italia: lo stipendio è buono, e non si lavora così tanto». E lui, che l’ascoltava sempre, fa il concorso, lo vince, entra in Banca d’Italia da impiegato e ne esce trent’anni dopo governatore. Per diventare poi presidente del Consiglio, ministro dell’Economia e infine presidente della Repubblica, sempre con lei accanto con la messimpiega, il rossetto e la collana. All’introduzione dell’euro pare sia tornata a casa dalla spesa dicendogli: «I prezzi aumentano. Ce l’hanno tutti con te. Dicono che è colpa dell’euro. Non mi danno più nemmeno gli odori». Non so se sia una leggenda metropolitana, ma col suo profilo ci starebbe. Invece, che quando alla fine dei sette anni di presidenza si sia opposta alla rielezione lo ha rivendicato ancora oggi che lo piange. «Pro Patria mori, morire per la Patria? Ma voi siete matti». Sempre dritta, dignitosa e lucida, anche nel dolore, anche adesso mentre dice che suo marito Carlo, alla fine, per la Patria un po’ ci è morto davvero. Fortuna che mia madre domenica non ha potuto sentire i fischi dei tifosi cretini: si sarebbe tanto dispiaciuta per «la signora Franca».