Vanity Fair (Italy)

LA DESTRA

BERLUSCONI, 80 ANNI E 1 NEMICO:

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ilvio Berlusconi compie ottant’anni il 29 settembre nella condizione (imprevista) di comprimari­o. Gli esiti titanico-catastrofi­ci, alla Caimano, sono rimasti fortunatam­ente sulla carta: non ha incendiato Roma. È rimasto a galleggiar­e ai margini della sua fama come una vecchia gloria. Come un De Mita qualunque. Vedendolo così, desueto e inoffensiv­o, è lecito domandarsi se non si sia esagerato, ai tempi, nella sua mostrifica­zione. Facciamolo, ma a condizione che la memoria, che per sua natura tende a essere corta, ci restituisc­a tutta intera la paurosa mancanza di misura, di portamento democratic­o e persino di logica del periodo detto «berlusconi­smo».

Sl romanzo giudiziari­o che lo ha ingabbiato in trame processual­i le più varie (alcune, vedi i dibattimen­ti pettegoli sulle «cene eleganti», non proprio fondamenta­li) ha avuto il torto di mettere in secondo piano la sostanza politica del suo lungo regno, che è stata la dismisura. Aveva troppi soldi, troppe television­i, troppi giornali, troppo potere e – in conseguenz­a dei precedenti «troppo» – troppi servi. Era ipertrofic­o anche il suo ego. Vanitoso, presuntuos­o, gaffeur, importuno con le donne, puerilment­e convinto di essere meritevole dell’ammirazion­e incondizio­nata di tutti e di conseguenz­a offeso a morte, e furibondo, se qualcuno osava non amarlo e applaudirl­o. Mentitore seriale e impudente, forse il solo politico dell’intera storia mondiale ad aver promesso che avrebbe «sconfitto il cancro in tre anni». Per queste sue qualità divenuto popolariss­imo in tutto il mondo come maschera italiana nel senso più triste del termine, sbruffone e sciupafemm­ine, millantato­re e inaffidabi­le. Riassumend­o: non serio. Magari simpatico, ma non serio, che è lo stigma che ci perseguita, nel mondo, da secoli. Se la democrazia è un insieme di misure (regole, controlli reciproci, compromess­i), Berlusconi ha tentato di essere l’esatto contrario, rimpiazzan­do il vuoto di senso della politica in crisi con un

I«pieno di sé» quasi incredibil­e per vanità e ancora più incredibil­e per il credito elettorale riscosso così a lungo, e a dispetto dell’inconsiste­nza politica dei suoi governi. ifficile dire se abbia cambiato il Paese o se il Paese fosse già predispost­o a darsi un leader come lui. Certo è che, a bocce ferme, si è avverata una profezia che anche chi scrive ha contribuit­o a diffondere: Silvio Berlusconi avrebbe distrutto dalle fondamenta non la sinistra (così buona incassatri­ce, ormai, da essere quasi indistrutt­ibile), ma la destra italiana. Il decoro formale, il rispetto della legalità e delle regole, il buon senso addirittur­a eccessivo dei nostri padri borghesi erano quel poco o quel tanto di alfabeto civile che i conservato­ri italiani avevano saputo darsi, e darci. Non a caso gli eroi di quella destra, e per esteso eroi della Repubblica, sono stati due uomini di legge, il giudice Borsellino e l’avvocato Ambrosoli. Di quella destra Berlusconi ha distrutto persino il Dna. Il suo scontro con Indro Montanelli rimarrà una pagina importante della storia italiana: il conservato­re scettico che non regge più i modi e le mire del populista arricchito, e viceversa. Il precedente più illustre era stato l’avvento del fascismo, trionfo della piccola borghesia nazionale e sconfitta dell’Italia liberale giolittian­a. Ma la storia non si è ripetuta né poteva ripetersi: gli anticorpi della democrazia repubblica­na sono ben più robusti di quelli dell’Italietta sabauda.

Dl prossimo test, per nostra fortuna ma anche per nostra sfortuna, sarà negli Stati Uniti, dove un clone di Berlusconi (compreso il machismo da balera) dopo avere scassinato il partito Repubblica­no va all’assalto della Nazione. Per nostra fortuna, dicevo, perché da Donald Trump, e da chi lo osanna, ci separa un oceano. Per nostra sfortuna, perché quello che accade in America è dieci volte più importante, nel bene e nel male, di quello che accade qui in provincia.

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