Vanity Fair (Italy)

Deve uscire dalla nicchia»

«dopo rio tanti si sono appassiona­ti alla pallavolo, ma spesso giochiamo e nessuno lo sa, il volley

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utte le volte che lo lancio in aria vola davvero in alto, ma lui non ha paura, ride come un pazzo». Un giovane padre che lancia il figlio piccolo verso il cielo, niente di più normale. Ma se a parlare è Ivan Zaytsev le cose un po’ cambiano. Due metri e 4 centimetri di statura, tanto alto che per fotografar­lo abbiamo dovuto portare una scaletta sul set, due mani che sembrano i cannoni dell’Armata Rossa, quando passa all’azione e lancia Sasha in aria chiudendo le mani come sottorete mi scappa un urlo di pura apprension­e. Giustifica­ta: il suo servizio a Rio nel quarto di finale olimpico contro l’Iran, 127 chilometri orari di velocità, è record: la battuta più potente mai registrata in un’Olimpiade. Forse per questo il bambino prima di riprendere forma tra le braccia di Zaytsev per un attimo sembra allungarsi come le palle dei cartoni giapponesi di Mila e Shiro. Ma due cuori nella pallavolo potrebbe essere anche la didascalia della storia personale dello «Zar del volley»: sua moglie Ashling, ex modella e un passato nella cooperazio­ne internazio­nale Onu, lo segue come un’ombra, a bordo campo, sempre in maglia azzurra e con Sasha accanto. Belli, biondi, romanticis­simi (lei è 1,84), celebrano il loro amore anche su Instagram e dall’account Twitter (enigmatico: @1v4n0t7o, «sta per il mio nickname, Ivanotto»). Dopo due anni di trasferta in Russia con la Dinamo Mosca sono tornati in Italia, il 2 ottobre «lo Zar della pallavolo» ripartirà nel campionato italiano, con la Sir Safety Perugia. Mentre lui si prepara per le foto, parlo con lei. Dopo che gli azzurri hanno conquistat­o l’argento nella finalissim­a contro il Brasile e una fama quasi improvvisa da 5 milioni di spettatori, la vita, ovvio, un po’ è cambiata. «Ci siamo dovuti comprare un’agenda». Arriva lui, senza le catene, i gioielli, le borchie e l’abbigliame­nto un po’ rockstar con cui è arrivato, ma con la cresta mohicana in testa che è il suo marchio di fabbrica. «Sasha mi riconosce dai capelli. Per lui le partite di pallavolo sono come i cartoni di Masha e Orso: guarda la partita, mi riconosce in campo e sta buonissimo. L’unico problema è che anche il tennis gli fa questo effetto, ogni volta che vede Roger Federer grida “papà!”». Dica la verità, l’argento dei secondi l’ha fatta arrabbiare? «Un po’ sì, il legnaccio non mi piace come medaglia». Il legnaccio? Si dice così? «No, credo di averlo inventato io, ma rende l’idea. Logicament­e è stato fantastico, perché arrivare così in alto non ce l’aspettavam­o proprio. Però una volta lì, cavolo, io sono uno che non sa perdere. Ok, forse meglio così, ci rimane un po’ di quella “fame” di vittoria da tenere per Tokyo 2020». Di recente ha detto in modo abbastanza chiaro che la pallavolo deve fare un salto di qualità, uscire dalla nicchia. Al ritorno da Rio ha anche polemizzat­o un po’ con la sua federazion­e nazionale. «Non ho polemizzat­o, era una critica: mi sembra assurdo che con tanta gente che si è appassiona­ta a noi ai Giochi, questa onda di entusiasmo non abbia creato alcuna iniziativa per farci conoscere ancora meglio anche a casa. Il volley è il secondo sport in Italia per numero di tesserati, eppure noi giochiamo e la gente a volte nemmeno lo sa. Per esempio, hanno invitato tutta la Nazionale alla presentazi­one dei campionati che stanno per partire, però davanti ai soliti 3 o 4 giornalist­i, a porte chiuse. Ma non sarebbe meglio farlo dove può venire anche la gente, aperto a tutti?». Ha avuto reazioni alle sue critiche? «Zero. Nemmeno una parola, sarebbe stato già un segnale. Però quando abbiamo fatto qualche video scherzoso con gli altri in ritiro per metterlo su Instagram, mi hanno invitato a smettere. Ma non ha senso che il volley resti un circolo chiuso. Non sfruttare questo momento è così stupido. Anche per questo sono tanto sui social, in contatto con gli appassiona­ti, che sono abituati a vederci da vicino. In pratica mi sto muovendo da solo». Il volley è molto seguito dalle ragazze: capitano fan troppo pressanti? «Magari qualche citofonata di troppo, niente di ingestibil­e». Il pallavolis­ta è il tipo di sportivo pieno di donne che può far ingelosire una moglie? Interviene Ashling. «La fisicità nel volley non manca, sono bei ragazzetti in effetti, ma io come si dice “dormo su sette cuscini”, il giocatore di volley non rappresent­a certo il gancio per un salto sociale, e poi le fan spesso sono davvero giovanissi­me». Ivan, lei concorda? Zaytsev ridacchia. «In realtà tutto dipende da te, se te la vai a cercare o no... Io comunque sono molto più geloso di lei, è una donna decisament­e fuori del comune». Voi tre sembrate l’emblema della famiglia felice, per lei è stato sempre così? «Assolutame­nte no. Vede questo tatuaggio che ho sul petto? È una rondine con una testa di passerotto, l’ho fatto a 18, 19 anni e rappresent­a la testa che non avevo sulle spalle. Diciamo che me ne fregavo delle conseguenz­e». Che cosa si potrà fare mai a 18 anni? «Be’, si può fare. Io a 18 anni ho firmato il mio primo contratto a Roma, uscivo la sera, facevo tardi». Era un po’ «calciatore»? «Ecco sì. Mi ero comprato una macchina che era costata tutto l’ingaggio di un anno». Insomma si è perduto? «Be’, oddio... un po’ sì». E come si è salvato? «Sono stato cambiato dall’amore. Quando ho conosciuto Ashling». Oh finalmente. Lei parla umbro ma qualcosa di russo ce l’ha: è sentimenta­le. Ha un tatuaggio che celebra anche questo? «Sì, ho questa parola lungo il braccio, mia moglie ne ha una uguale sulla schiena. È scritta al contrario, “alla Leonardo da

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