Vanity Fair (Italy)

NE RIMARRÀ UNO SOLO?

Dopo le proteste in Polonia, si riapre anche in Italia il dibattito sull’ABORTO. Saviano denuncia: troppi obiettori, la 194 non si applica. Siamo andati a indagare, e abbiamo scoperto che in Molise, se manca quel ginecologo...

- Di GRETA PRIVITERA

Come se alle donne piacesse abortire». Silvana Agatone, ginecologa non obiettrice dell’Ospedale Sandro Pertini di Roma e presidente della Laiga (Libera associazio­ne italiana ginecologi), lo vede da oltre 30 anni quanto sia difficile. «Spesso in ospedale si sentono giudicate e abbandonat­e proprio nel momento in cui avrebbero più bisogno. Dovremmo scendere in piazza, come hanno fatto in Polonia». Le donne polacche della Czarny Protest hanno manifestat­o contro l’abolizione della legge sull’aborto proposta dal partito conservato­re Diritto e giustizia (Pis). Alla fine ce l’hanno fatta a difendere quello spiraglio di diritto già rosicchiat­o in ogni angolo: in Polonia si può abortire solo in caso di stupro, di malformazi­one del feto e di pericolo di vita della madre. Tra gli attivisti che hanno fatto il tifo per la Czarny Protest c’è anche Roberto Saviano, che su Facebook scrive: «Questo tema, a noi italiani, dovrebbe essere caro, perché, nonostante l’aborto sia legale, le difficoltà che le donne trovano oggi ad abortire sono immense. L’obiezione di coscienza è una piaga che rende la 194 la più tradita delle leggi». La dottoressa Agatone è d’accordo con lui. 100 mila polacche vestite di nero sono scese in piazza il 3 ottobre per bloccare l’inasprimen­to della legge sull’aborto. Il 6, il governo ha ritirato la proposta. Rischiamo di fare la fine della Polonia? «No, ma i dati fanno paura. Secondo il ministero della Salute, nel 2005 i ginecologi obiettori erano il 58,7%, nel 2013 il 70%. Sette ginecologi su 10 si rifiutano di effettuare interventi di aborto volontario per motivi etici: la motivazion­e ufficiale. Ma, si sa, ci sono anche ragioni di carriera». La richiesta di aborti aumenta? «Non si sa: la relazione del ministero che ne registra una diminuzion­e è uno studio su quanti interventi vengono eseguiti, non su quelli richiesti. Se un non obiettore va in pensione, ed è l’unico a praticare l’interruzio­ne in quell’ospedale, il servizio viene chiuso. Questo però non vuol dire che le donne di quella città non abortirann­o più». Ma è legale chiudere il servizio? «No: in teoria la legge dice che ogni ospedale dovrebbe erogarlo. In pratica, poco più del 60% degli ospedali italiani lo offre». Qual è la Regione con più difficoltà? «Il Molise: è obiettore il 93,3%. In concreto, c’è un ginecologo che corre da una città all’altra, e se non è di turno le donne sono costrette a emigrare in un’altra Regione». È un fenomeno più frequente al Sud? «Sì: a parte la Provincia autonoma di Bolzano con il 92,9% di obiettori, che segue il Molise. Poi ci sono la Basilicata con il 90,2%, la Sicilia con l’87,6%, la Puglia con l’86,1%, la Campania con l’81,8%. In tutta la penisola la percentual­e non scende mai al di sotto del 50%, tranne per la Valle d’Aosta, 16,7%. Con questi numeri, il vero problema sono gli aborti terapeutic­i dopo i 90 giorni, per gravi malformazi­oni del feto o per pericolo di vita della madre». Perché? «Se l’aborto – farmacolog­ico o chirurgico – nei primi 90 giorni si ha tempo per organizzar­lo, e si può ricorrere a un non obiettore esterno, dopo tutto cambia. Perché in questo caso si deve indurre il parto, si ricovera la paziente, e c’è bisogno in reparto di un non obiettore. Che troppo spesso non c’è».

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