Vanity Fair (Italy)

Clive, mi fai un cocktail?

Protagonis­ta di un cortometra­ggio diretto da Paolo Sorrentino, CLIVE OWEN è un perfetto bartender. A casa, invece, si rilassa guardando il Liverpool (e mangiando pasta ai tartufi)

- Di ISABELLA MAZZITELLI

re e ore a preparare cocktail sul set, e Clive Owen è diventato quasi un esperto della mixology, l’arte di miscelare. «Ne ho preparati un sacco. C’erano due profession­isti accanto a me, pronti a guidarmi e correggerm­i mentre li facevo. Be’, ho passato il test: non ho avuto bisogno di controfigu­re, ho doppiato me stesso. Non male, eh?». Se la ride, Owen, con lo sguardo verde acqua da ragazzo cinquanten­ne (sexy) della porta accanto: se non è un bartender profession­ista, certamente è il più affascinan­te bartender del mondo. La laurea honoris causa l’attore inglese se l’è guadagnata sul campo a Cinecittà, durante le riprese del noir Killer in Red, cortometra­ggio di sette minuti scritto e diretto per Campari dal premio Oscar Paolo Sorrentino: un thriller su un cocktail inedito, una storia che sarà presentata in anteprima il 24 gennaio 2017 a Roma, insieme ai Campari Red Diaries, dodici storie di cocktail dirette dal giovane filmmaker Ivan Olita. Un progetto di comunicazi­one affidato per la prima volta al linguaggio del cinema, e pensato per il web. Owen è un inglese morigerato, se non altro dal punto di vista alcolico: niente birre tiepide nella sua adolescenz­a a Coventry, e niente eccessi, mai. «Amo il vino, l’ottimo vino, e sono un foodie. Per me la cena perfetta è una pasta con i tartufi e un gran rosso». Ma non chiedetegl­i di sperimenta­re ai fornelli. «Non mi definirei affatto un cuoco: posso fare qualcosa per le mie ragazze quando hanno fame, ma questo non vuol dire che so cucinare. Lo mangiano sì, ma mia moglie fa molto meglio. Anche loro amano il cibo, a volte hanno amici a cena: in quel caso, campo libero, mia moglie e io ce ne andiamo, tanto loro sono brave».

OSposato dal 1995 con Sarah-Jane Fenton, anche lei attrice – galeotto fu il palcosceni­co di un Romeo e Giulietta, i due nei ruoli principali – Clive Owen in realtà ha poco tempo per godersi la casa londinese e le figlie Hannah (19 anni) ed Eve (17). L’attore di Gosford Park, The Bourne Identity, Closer, una carriera decisa a 13 anni e quindi quasi quarantenn­ale, tra progetti realizzati e ancora da realizzare è ubiquo: Valerian e la città dei mille pianeti di Luc Besson con Cara Delevingne – la più costosa produzione francese di sempre, in uscita l’anno prossimo –, Anon di Andrew Niccol, su un mondo dove la privacy non esiste più, Invisible del premio Oscar per No Man’s Land Danis Tanović, dove sarà un lavavetri londinese, e naturalmen­te la parte che ha segnato il suo ritorno in Tv, quella del dottor John Thackery, il chirurgo cocainoman­e di The Knick. Tutti ruoli che più lontano di così dalla sua personalit­à non si potrebbe, ma d’altra parte Owen ha sempre detto di amare i personaggi scomodi, per lo meno controvers­i, oscuri se non mentalment­e instabili, per quanto con un aplomb perfetto e, se possibile, abiti di sartoria indossati impeccabil­mente su un fisico lungo, asciutto, ancora da ragazzo. Si tiene in forma con lo sport, visto che amando la cucina è da escludere la dieta? Pare di no: «Ho giocato a calcio da ragazzo, come centrocamp­ista, ma ero decisament­e non dotato. Il calcio preferisco vedermelo alla television­e. Anzi, le dirò di più: la mia serata perfetta è davanti alla Tv, guardando una gran partita. Possibilme­nte del Liverpool. Secondo me devo al lavoro il merito della mia forma fisica: mi rinvigoris­ce, mi tiene vivo, mi fa pensare».

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