Vanity Fair (Italy)

LA GENTE DI GORINO

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Gorino non c’è niente», hanno detto, «a Gorino non hanno niente». È vero, a Gorino non hanno cinema e teatri, ma quello di Gorino è un niente affascinan­te per chi arriva da fuori, e pieno di identità per chi lo abita: l’identità del Po, del piccolo porto sulla baia dove si coltivano le vongole, dove ondeggiano le canne, dove volano i gabbiani e gli aironi, e dove in fondo a tutto spunta un faro. orino, che da Ferrara dista settanta chilometri ma potrebbe essere sulla luna per quanto è diversa e lontana dalla sua storia, sorse come posto di dogana all’estremo limite della foce del Po, e fino a metà del Settecento la terra non era ancora emersa dal mare. Poi nel 1870, meno di centocinqu­ant’anni fa, alcuni pescatori vi si stabiliron­o con le famiglie. Un luogo estremo di argini, nebbie e relazioni cementate dall’essere in pochi a fare un lavoro duro che spesso si è scontrato con le regole europee sulla pesca e la misura delle vongole. I goranti (o gorinesi) negli ultimi cinquant’anni hanno vissuto momenti di benessere e momenti di crisi e da quelle parti tra le casette colorate ne spuntano di baldanzose con le scale di marmo davanti. na realtà molto lontana da quella della Ferrara rinascimen­tale degli Estensi, dell’Orlando furioso al Palazzo dei Diamanti, dei concerti jazz al Torrione, dei festival coi più grandi artisti, scrittori e giornalist­i del mondo. Ferrara è una delle città più colte d’Italia, Gorino è un avamposto silenzioso di luce chiara dell’est. Ma a cinque chilometri da Gorino c’è Goro, un paese con tutto quel che serve. A venti chilometri c’è Codigoro (mia madre a Codigoro da giovane ci insegnava, prendendo da Ferrara la littorina alle sei del mattino per arrivare alla sua classe di 54 bambini: un giorno sequestrò un bigliettin­o che volava da un banco all’altro. Lo aprì e lesse: «Pregnolato, ogi pomerigio vieni da me a impregnare il gato?». Ce lo avrà raccontato cento volte, deliziata e inorridita dalla grazia di quella rima, dall’assenza di doppie e soprattutt­o dal mistero: come si farà a impregnare – mettere incinta, suppongo – un gatto, anzi una gatta? Come avrà fatto Pregnolato?). a vicenda del gruppo di abitanti di Gorino che hanno fatto le barricate per non accogliere venti migranti nella loro comunità la conoscete. All’inizio sono stati molto attaccati e poi molto difesi, ma come al solito non ci sono buoni e cattivi. I loro modi non sono condivisib­ili ma sono comprensib­ili. Hanno detto che si sono sentiti invasi, spodestati dal loro unico luogo d’incontro, quando hanno scoperto casualment­e che il loro ostello-bar, il solo posto dove tutti si ritrovano, sarebbe stato requisito dal prefetto per ospitare venti migranti, e hanno concitatam­ente organizzat­o un presidio per bloccarne l’arrivo coinvolgen­do una persona nota da quelle parti per le sue iniziative molto spicce, il leghista Naomo, che immagino sia un soprannome che prende origine dal personaggi­o di Panariello. Una signora di Gorino intervista­ta a La gabbia ha detto che, avessero saputo che si trattava di donne e bambini, li avrebbero accolti nelle loro case, e molto probabilme­nte lo avrebbero fatto davvero. Credo siano stati i modi, il non sapere quello che sarebbe accaduto, il ricevere dall’alto un’imposizion­e che avrebbe cambiato la vita della comunità senza spiegazion­i, a provocare una reazione come quella. Accade quasi sempre così: è la mancanza di dialogo, di empatia, di contatto personale, umano, di confronto e dialogo, a generare il conflitto. uesta piccola storia, come sempre strumental­izzata da alcuni e banalizzat­a da molti, ci dice soprattutt­o una cosa: che bisognereb­be sempre sforzarsi di conoscere il territorio, le situazioni, le persone. Di parlarsi e guardarsi negli occhi.

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