CARO PROF, NON HA FALLITO
Si era ripromesso di morire solo dopo aver sconfitto il cancro. Quando UMBERTO VERONESI, il più celebre oncologo italiano, ha capito che la fine si avvicinava e che il male non era vinto, ha dichiarato di aver perso quella battaglia. Ma è davvero così? Se
o fallito: avevo promesso a me stesso che sarei morto dopo aver visto il cancro sconfitto, e temo non succederà». Umberto Veronesi, qui in un’intervista al Corriere della Sera, parlava spesso di questo rimpianto.
è davvero così? In Italia il 55% degli uomini e il 45% delle donne riceve nella vita una diagnosi di tumore: più di 200 mali, tanti quanti i tipi di cellule umane. «Siamo a mille diagnosi al giorno», spiega Pier Paolo Di Fiore, chairman della Commissione consultiva strategica Airc e direttore di un’unità di ricerca all’Istituto Firc di oncologia molecolare, «ma a oggi guarisce il 55%, impensabile trent’anni fa. Le guarigioni aumentano dell’1% all’anno circa». Come? Grazie all’«approccio multidisciplinare invocato da Veronesi. Al trio chirurgia-radioterapia-chemio bisogna aggiungere altre strade». Ricerca biomolecolare, biomarcatori per la diagnosi precoce, immunoterapia: l’ultimo decennio «ha moltiplicato, sulla scorta della genomica, le frecce al nostro arco», continua Di Fiore. «Le cellule tumorali sono infide perché molto simili a quelle sane. Ma con la tecnologia attuale possiamo sviluppare farmaci che attaccano solo le differenze». Riducendo, per esempio, i pesanti effetti collaterali tipici delle attuali cure. Di farmaci «molecolari», come gli anticorpi monoclonali e gli inibitori delle tirosin-chinasi, ce ne sono già a disposizione un centinaio: «È un tipo di ricerca decollato dopo che siamo stati in grado di sequenziare il genoma umano, quindi negli ultimi 10-15 anni». E a cui appartiene, per esempio, anche la recente individuazione di «biomarcatori» nel sangue, indice di presenza di un tumore. Le cellule tumorali mandano «messaggi» al resto del corpo – corrompono per esempio i tessuti attorno – che finiscono nel sangue, «e noi cominciamo a essere capaci di ritrovarli. Fra qualche anno potremmo essere in grado di fare diagnosi precoci con un esame del sangue». Risparmiando molte spese. «E vite. La principale variabile per la cura è la precocità della diagnosi», spiega Chiara Tonelli, presidentessa del Comitato scientifico della Fondazione Veronesi e prorettore alla ricerca dell’Università di Milano. Nel frattempo: HMa