Vanity Fair (Italy)

SE NON SEI FIGO PERDI»

- FICTION

Così i loro miti sono Dan Bilzerian – un tipo che ha vinto 100 milioni a poker e che li spende in escort, yacht, armi – e i rich kids: «I soldi guadagnati con la fatica gli fanno schifo, perché non te li godi davvero. Se non sei furbo perdi, se non sei figo perdi, se non vieni da una famiglia ricca perdi», dice Saviano. I loro, di soldi, vengono dallo spaccio e dalle estorsioni. E appena incassano corrono da Foot Locker a comprarsi 10 paia di Nike Air Jordan uguali: tutte bianche o tutte rosse. E poi la sera al locale, dove vogliono avere un tavolo e bere solo Moët&Chandon. «Sono ossessiona­ti dallo champagne, anche in modo simbolico: lo apri e non lo puoi richiudere, lo devi finire». In amore sono tradiziona­listi: se arrivano all’età per farlo – non è detto: muoiono quasi tutti o finiscono in carcere – sposano la ragazza con cui stanno da sempre. Controllar­e il telefono per vedere se lei ha scritto è il primo pensiero dopo che sono stati a fare un omicidio, e lo hanno tenuto spento. «Vivono una sorta di schizofren­ia: sul Web c’è il porno con il suo immaginari­o estremo, nella vita vera c’è la fidanzatin­a con la quale spesso non si sentono all’altezza, perché non hanno il pisello grande come gli attori che vedono. Per loro il corpo conta molto, la fisicità è tutto: ti sparo in faccia, ti piscio addosso, i tatuaggi, il taglio alla Savastano, le barbe alla Isis – gli piace l’Isis –, i denti ricoperti d’oro. Le donne devono avere tutte la ricostruzi­one sulle unghie, essere belle, ma non necessaria­mente magre: il grasso è passione e piacere. Ciò che non si perdona a una donna è che sia trascurata». Potrebbe sembrare un fenomeno pittoresco se non fosse che questi ragazzini hanno le armi, e le usano, anche solo per prova, per allenament­o. Nel libro Nicolas e i suoi sparano agli extracomun­itari che dormono: niente di inventato. Dall’inchiesta di Woodcock emerge che un signore indiano è stato colpito al torace «per verificare se l’arma funzionava». E potrebbero sembrare un fenomeno pittoresco se non ci fermassimo a riflettere anche sui nostri figli, che, pure in contesti e a latitudini completame­nte diversi, condividon­o quella stessa fretta, quella stessa incertezza, quella stessa smania di avere. «In questo romanzo – ho scritto un vero romanzo per togliermi dall’onere della prova: di tutti i miei altri libri si diceva che li avevo copiati – invece di raccontare Napoli al mondo, ho deciso di raccontare il mondo attraverso Napoli. E far riflettere le madri che mi leggono: i paranzini di Forcella sono così, e tuo figlio com’è? Davvero così diverso? Forse non spara, non spaccia, ma non sogna gli stessi sogni di una vita facile, i soldi da ostentare? Forse i nostri figli non sono tutti figli del capitalism­o contempora­neo?». La risposta alla domanda di Saviano ha un indirizzo: piazzetta San Vincenzo 1, Napoli. Ci si arriva guadando gente, motorini, passeggini, palazzi del Seicento, insomma entrando nel cuore del rione Sanità: 50 mila abitanti, soprattutt­o giovani, spessissim­o poveri. All’indirizzo che mi hanno dato c’è una chiesa non adibita al culto, detta chiesa di padre Ciccone dal nome dell’ultimo prete che vi servì messa, negli anni Ottanta. Poi è rimasta chiusa fino a 15 anni fa, quando nel quartiere è arrivato un uomo che è diventato per tutti il pezzo di Stato che qui non si era mai visto, ma fa il prete e si chiama padre Antonio Loffredo. Padre Antonio è una sorta di capo tribù rispettato da tutti: depositari­o della giustizia morale, della saggezza e dell’iniziativa, è stato lui a riaprire le cose che stavano andando in malora, dalle catacombe di San Gennaro alla chiesa di piazzetta San Vincenzo che è diventata un luogo di aggregazio­ne dei ragazzi del quartiere e da quattro stagioni un bellissimo teatro, il Nuovo Teatro Sanità, curato e gestito da quegli stessi ragazzi nati e cresciuti in queste strade. «Molti di noi, compreso me, hanno iniziato a venire qui da bambini, per fare dei laboratori teatrali, ma da quando a guidarci ci sono persone che del teatro hanno fatto la loro profession­e c’è stato un salto di qualità», dice Carlo Geltrude, attore. Direttore artistico e presidente del Teatro è Mario Gelardi, regista della versione teatrale di Gomorra, che è riuscito a mettere insieme un cartellone con nomi importanti come Nello Mascia e Toni Servillo. Qui i ragazzi fanno tutto: staccano i biglietti, si

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