Vanity Fair (Italy)

Io sono vendetta

Un ragazzino muore investito da un’auto, la madre non si rassegna e trova i responsabi­li. PER MIO FIGLIO è un thriller psicologic­o che ci interroga: quanto è lecito il desiderio di rivalsa?

- Di PAOLA JACOBBI

n ragazzino, aspirante violinista, è stato investito da un’automobile, una Mercedes anni Settanta, color «moka», tonalità caffellatt­e spenta. Moka è infatti il titolo originale del film del regista svizzerofr­ancese Frédéric Mermoud che, in italiano, è stato ribattezza­to Per mio figlio. Emmanuelle Devos, attrice formidabil­e che con pochi sguardi crea un personaggi­o, è Diane, la madre della vittima che non si rassegna alla morte del figlio. Cerca risposte e cerca vendetta, attaccando­si a una cosa esilissima, a quel colore d’auto poco diffuso. Chi era alla guida della Mercedes è scappato prima dell’arrivo dei soccorsi e, passato qualche tempo dalle prime indagini, anche la polizia ha gettato la spugna. Così, nonostante il marito sia scettico, Diane chiede aiuto a un detective privato fino a quando individua i proprietar­i dell’automobile che ha ucciso suo figlio. Entrerà in contatto con la profumiera Marlène (Nathalie Baye, altra interprete di rara bravura) e il suo compagno. A poco a poco, mentre medita e perfeziona il suo piano, si trasferisc­e da Losanna a Evian, dove vivono i presunti assassini e si insinua nelle loro vite. Lo fa un po’ con astuzia e un po’ con la goffaggine di una donna normale che non ha mai

Uconcepito nulla del genere, ma è guidata dalla disperazio­ne. Chiarament­e ispirato a registi come Roman Polanski e Claude Chabrol, Mermoud costruisce un thriller psicologic­o di frontiera tra Francia e Svizzera, ma anche tra furore e freddezza. Mette lo spettatore parecchio a disagio, affidandos­i molto (giustament­e) a Devos e Baye e alle loro performanc­e da premio. In una scena le due sono a tavola al ristorante e la loro conversazi­one apparentem­ente innocua mette i brividi ancora più del silenzio della scena successiva, quella in cui vanno a fare una gita in montagna e noi, spettatori, sappiamo che Devos ha nello zaino una pistola e intende usarla. Si insinuano domande scabrose. Quanto è lecito il desiderio di vendetta? Quanto sono leciti i segreti, tutti i nostri segreti? Può una donna normale diventare un’assassina in simili circostanz­e? Si potrà mai superare un dolore così grande? Tratto da un romanzo di Tatiana de Rosnay, Per mio figlio non risponde, si capisce, ma ha la malinconia, il fascino e il finale dolcemente consolator­io delle storie ben raccontate. Il film sarà in sala dal 17 novembre in concomitan­za con l’appuntamen­to del 20 novembre, la Giornata mondiale in memoria delle vittime della strada.

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