Vanity Fair (Italy)

C’era una volta un nerd

Al Festival del fumetto BilBOLBul di Bologna il protagonis­ta è CHRIS WARE

- Di ALESSANDRA TESTA

Chris Ware era «Charlie Brown», ora è uno dei cartoonist più idolatrati del mondo. A lui, il Festival internazio­nale del fumetto BilBOLBul di Bologna (dal 24 al 27 novembre) dedica la mostra monografic­a Il palazzo della memoria (fino al 7 gennaio; sopra, un’immagine in esclusiva): a volte capita che un nerd, come il Jimmy Corrigan dell’omonimo graphic novel del 2000 che lo rese famoso, diventi un supereroe. Lo abbiamo intervista­to in anteprima. Per i fan, Jimmy è lei. È d’accordo? «Da bambino non ero atletico né popolare. Disegnavo da solo e mi pensavo come non ero. Non c’erano fumetti seri, oggi per fortuna si può parlare di tutto». Chi l’ha influenzat­a? «I Peanuts di Schulz, Robert Crumb e la rivista Raw di Art Spiegelman e Françoise Mouly, che ha pubblicato i miei primi scarabocch­i. Una bella spinta per un insicuro come me». Come lavora Chris Ware? «In silenzio. In uno stato di immaginazi­one quasi folle. L’esperienza peggiore è accorgersi che hai creato una bugia e rifare tutto daccapo. I miei disegni suggerisco­no il flusso della storia, non sono confinati in uno scritto». Come sta il graphic novel? «Bene, direi. Beverly di Nick Drnaso e Morire in piedi di Adrian Tomine sono le storie più belle di sempre. Amo gli artisti che non mentono. Nei comics la disonestà si riconosce subito». Perché questa popolarità nell’era dei social? «Non lo so, ma se i lettori vogliono un libro lungo e colorato ogni tot anni speriamo almeno li incoraggi all’empatia». A che cosa sta lavorando ora? «Una monografia per Rizzoli, tre graphic novel, le cover del New Yorker e strisce occasional­i». Che cosa si augura per il futuro? «Niente di particolar­e. Io a 11 anni sognavo i superpoter­i. La generazion­e di mia figlia è più informata. Grazie a Obama era iniziato un cambiament­o. Voglio restare ottimista».

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