Vanity Fair (Italy)

IL PENSIERINO

- Di Vivian Lamarque PER AIUTARE QUEI BAMBINI

Il dottor Layla cita 250 feriti lasciati a se stessi e un numero imprecisat­o di pazienti in dialisi che – da quando «le milizie sciite» hanno conquistat­o Shawqi Hilal – hanno perso l’accesso alla dialisi. «Se non sono ancora morti di piombo o di fame o di sete lo saranno presto di insufficie­nza renale», conclude terso il dottor Layla. In un’area grande quanto Milano, restano cinque ambulanze. Ed è in una di esse, della Mezzaluna Rossa, che si appresta a fare il salto l’infermiera Hana Abdallah. Ha una missione, che va oltre mettere in salvo se stessa. Ha un paziente da salvare, un volontario dei Caschi Bianchi, un giovane della Protezione Civile, che ha un buco da scheggia nella pancia. Tenteranno assieme di raggiunger­e Bab al Hawa, sul confine turco. Ma non è detto che a Ramouseh, all’incrocio dei bus verdi, tutto fili liscio. Hana è ricercata dai Servizi del regime per terrorismo. Tutti quelli che vivono nelle zone controllat­e dall’opposizion­e sono, per la propaganda del regime, terroristi. Hana osserva il drappello di fantasmi, uomini e donne e infanti in attesa dei convogli che li porteranno via, e piange. «Le vecchie urlano Allah, Allah», dice Hana. «Ci sono pazienti molto deboli seduti tra le rovine con una flebo di sangue in mano». Tutto così veloce. L’improvvisa irruzione degli afghani e degli iraniani, le esecuzioni sommarie, il terrore non più annunciato dal tonfo sordo dell’aviazione ma dalla fisicità di stranieri minacciosi che sparano prima di parlare. È stato allora che Hana ha pensato: «Sono pronta a incontrare il mio fato». A bordo dell’ambulanza, attraversa la vecchia linea del fronte, vede carcasse di auto fumanti, vede crateri di asfalto arricciato, vede file di cadaveri, congelati in pose strane. Il primo posto di blocco è dei russi, e il cuore perde un battito. Ma il milite russo dà un’occhiata, a lei e all’ambulanza, e fa segno n quelle stesse ore, mentre Hana giunge salva a Bab al Hawa, sul primo bus verde sale Abdu Khudur, un attivista di 27 anni. Abdu sale e si sente male. Sale e pensa a chi gli ha detto che la resa è un tradimento. Ma che cosa ne sanno loro? Non sono sotto assedio. C’è stato un voto popolare, racconta ora, e la gente ha votato a favore. Che altro poteva fare? La gente dice che il regime avrebbe ucciso i padri e spedito i figli a morire al fronte da qualche parte. «Quando è stato raggiunto l’accordo non abbiamo capito più niente, non sapevamo che cosa pensare, eravamo sconfitti ma vivi, morti che vivono. Non c’è paura più brutta di quella della morte», dice Abdu. Prima di prendere posto sul convoglio diretto a Rashideen, un paese a ovest di Aleppo in mano ai ribelli, Abdu ha fumato la sua ultima sigaretta. «Pensavo sarebbe stata l’ultima», dice. L’ha pagata 14 dollari. «Eravamo in 50 circa». Poi è sbucato un russo. «Ci ha guardato in faccia, uno per uno, e ci ha detto qualcosa in russo che non ho capito». Abdu lo ha studiato come si studia un animale mai visto che all’improvviso ha su di te potere di vita e di morte. Poi il russo è sceso e loro sono partiti e Abdu si è reso conto che quel potere in Siria, oggi, lo hanno in molti. Il secondo bus, che seguiva il suo, con cinquanta persone di Aleppo, tra cui amici suoi, era sparito. Sempliceme­nte non c’era più. Non è chiaro che cosa sia successo, si parla degli iraniani, si parla degli afghani, forse anche dei libanesi, chi lo sa. «Io so una cosa sola: non è mai arrivato». Medici Senza Frontiere L’associazio­ne non governativ­a sta fornendo supporto nell’evacuazion­e dei feriti: medicisenz­afrontiere.it. White Helmets Per sostenere la Protezione Civile di Aleppo, che ha salvato oltre 70 mila civili, e le famiglie dei volontari uccisi durante i soccorsi: whitehelme­ts.org. Unicef Numero solidale: 45566, 2 euro per sms. Altri modi per contribuir­e: unicef.it. Save the Children Per sostenere gli aiuti di Save the Children in Siria: savethechi­ldren.it/siria (vedi anche a pag. 49). di procedere e Hana pensa siamo fuori, che sollievo, siamo fuori, che disperazio­ne, non vedrò mai più la mia casa.

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