CHE COSA SUCCEDE?
Statisticamente, non molto. «È una malattia grave e difficile da curare. Ma non c’è emergenza», spiega Roberto Burioni, docente di Microbiologia e Virologia dell’ospedale San Raffaele di Milano, autore del Vaccino non è un’opinione (Mondadori). L’Istituto superiore di sanità la monitora dal ’94: i dati ufficiali 2016 arrivano fino a metà novembre e contano 178 casi di meningite da meningococco, secondo l’agenzia Agi arrivati a 190 a fine anno. Il meningococco è uno dei tre batteri che causano la meningite (con lo pneumococco e l’emofilo) ed è quello di cui si parla in questi giorni. Nel 2015 le infezioni da meningococco erano state 196, decine meno negli anni precedenti, e nel 1994, anno dei primi dati, 164. La malattia ha avuto un picco nel 2004 (343 casi), dato quasi dimezzato in due anni grazie alla campagna di vaccinazione universale. Insomma, l’andamento nel nostro Paese è regolare da un decennio, l’incidenza è di 0,32 casi su 100 mila abitanti, mentre la soglia considerata di preoccupazione è 2. è la Toscana, nella Valle dell’Arno: «Non si può parlare di un focolaio e non sappiamo ancora con precisione il motivo di questo aumento, di certo si tratta di un ceppo particolarmente aggressivo e cattivo», spiega Burioni. I numeri. Nel biennio 2013/2014, c’erano stati 28 casi di meningite in Toscana, nel successivo sono più che raddoppiati, ben 74, con 14 decessi, dei quali 13 causati dal ceppo C. Come ha già spiegato su Facebook, Burioni ricorda un dato: «Le ondate migratorie non c’entrano nulla. I ceppi africani sono A, W135 e X, mentre quelli presenti in Europa sono B e C». La regione africana interessata è quella dei Paesi sub-sahariani, la «cintura della meningite», in