UNA NOTTE LUNGA TRE MESI
Nel suo ultimo libro CARRIE FISHER confessava la relazione «stellare» con Harrison Ford. E il racconto, come sempre quando parlava di uomini, era spassoso. A insegnarle a ridere dei maschi era stata sua madre DEBBIE REYNOLDS. L’abbandonata più celebre di
n The Princess Diarist, uscito meno di due mesi fa, c’è la più esatta frase per raccontare quelle storie che ti accadono quando hai 19 anni, e lui è un adulto, e ha una moglie a casa, e tu non sai bene in che situazione siate e non osi fare domande, e lui certo non o re volontariamente spiegazioni, anzi si esprime a grugniti, anzi ora che ci pensi siete niti a letto senza avere mai avuto una vera e propria conversazione. La 19enne era Carrie Fisher, che a 60 anni ha ritrovato i diari che teneva durante la lavorazione del primo Guerre stellari e ha deciso di raccontare quel che non aveva mai ammesso: lei e Harrison Ford avevano avuto una relazione. Cioè, una relazione: andavano a letto di notte e facevano nta di niente di giorno. E poi lei aveva negato per quarant’anni, perché non voleva che nessuno ci restasse male (anche se lui poco dopo aveva divorziato, «per ragioni con cui io non avevo niente a che fare»). E alla ne, siccome praticava un certo qual feticismo della verità – «Io non vi mento, a meno che la domanda non sia “Hai rubato tu dei medicinali dal mio armadietto?”» – aveva raccontato quella strana storia-non-storia, e aveva trovato la de nizione che, come sempre, ci aveva fatto sospirare «È una di noi», la de nizione che somiglia ad almeno una nostra storia giovanile: «Fu una storia di una notte - una botta e via - però durata tre mesi». memoir di Carrie Fisher (nessuno dei quali tradotto in Italia, valga questa parentesi come richiesta) hanno fatto per la capacità delle donne di prendere a ridere le peripezie con l’universo maschile più di ogni monologo di attrice comica o cofanetto di Sex and the City. Non c’era niente che la Fisher non rendesse esilarante: il padre della
glia che una mattina si sveglia ed è diventato gay e la accusa di essere stata lei a farcelo diventare (Bryan Lourd, agente hollywoodiano d’un certo potere); l’amico gay che le muore nel letto e, più ancora che fornire spiegazioni sul suo essere gay e quindi non un suo amante, a Carrie tocca darne sul suo essere repubblicano: un repubblicano nel letto, che cosa impresentabile; il senatore democratico con cui lasciava intendere d’essersi accoppiata solo per recuperare la propria reputazione e tornare politicamente presentabile. E soprattutto Paul Simon, con cui si sposò forse per allegria (nella biogra a di lui si racconta che, mentre si urlavano ogni improperio, il litigio s’interrompeva di botto perché a entrambi veniva da ridere), ma soprattutto per imprinting materno.
Irima di essere la principessa Leia di Star Wars e la donna abbandonata sull’altare da John Belushi nei Blues Brothers, Carrie Fisher era la glia di Debbie Reynolds, quella che a 19 anni aveva fatto Cantando sotto la pioggia. La piccina iniziò a vivere sui rotocalchi a un anno e mezzo, quando Eddie Fisher lasciò la mamma per la donna più famosa del mondo e per la vedova del suo migliore amico
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