Vanity Fair (Italy)

Papo, dall’altra parte dell’in infinito

Il 22 agosto 2016, a 10 anni, un bambino cade a terra e non si rialza. Da allora, ogni giorno, suo padre gli scrive una lettera, per stare «inseparabi­lmente insieme». Qui ne scrive una in più. Dove dice grazie per «il prodigio di far vivere i sogni»

- di ANDREA PILOTTA

Ciao Papo, qui proprio non ce la fanno a non chiedere «Come va?». Non basta un ciao, un salve o un buongiorno? Che poi manco interessa la risposta al «Come va?». Perché, se attacchi a rispondere, o stai a parlare delle ore o si tronca corto il discorso. Quindi rispondo accennando un sorriso o dicendo «Stazionari­o»: dopo sei mesi sono quasi riuscito a rimuovere dalla risposta il «Di merda, grazie!». E a te com’è andata? C’è ancora ieri, oggi e domani dove sei tu? Tempo e spazio esistono ancora? O sono condensati in una pellicola, tipo vecchia bobina dei „lm, lungo la quale scorre la vita? Se non sei preso dalle tue cose, ti va di fare un gioco, Papo? Ti va di ricostruir­e il „lm di questi ultimi sei mesi? Chissà tu come lo vedi. Io lo vedo così.

Cominciamo dalla „ne, che poi è solo un nuovo inizio. Il 22 agosto 2016, in campeggio a Trieste, sei al bar con Totta, i nonni e Luna, io sono al camper a stendere e la mamma è tornata a casa la sera prima. Sali sulla bici, leggera

salitella, arrivi alla nostra piazzola, mi saluti: «Ciao pà, mi scappa la cacca». Saliamo in camper e, boom, mi crolli davanti. Ti prendo in braccio, corro verso la reception e grido come un pazzo di chiamare il 118. Il tuo ICD, il debrillatore sottocutan­eo, non dà scariche, non capisco perché. Con un campeggiat­ore che fa l’infermiere cominciamo a massaggiar­ti e ventilarti. Arrivano i soccorsi, vanno avanti loro, il cuore riprende a battere, ti caricano in ambulanza ma ricadi in arresto cardiaco. L’ICD non interviene. Corsa in ospedale mentre ti massaggian­o. Papo, tutto il resto dell’agonia me lo risparmio, due giorni di lotta tra la vita e la morte e quel bellissimo Brad Pitt bambino lascia per sempre questo mondo terreno il 24 agosto. La tua mamma dice che, in realtà, ci avevi già salutato appena avevi perso i sensi due giorni prima. Avevi fretta di andare a divertirti altrove, questo è certo. Ti stai divertendo e probabilme­nte (in barba a tutti) stai correndo e saltando come un matto. In quei due giorni di lotta disperata in ospedale sei rimasto nei paraggi solo per farci abituare all’idea che a breve non saresti più stato qui con noi. È così come dice la mamma, vero? E dai, Papo, ogni tanto rispondimi, che ti costa?

Ecco, a questo punto sembra la solita storia strappalac­rime, la classica famiglia annientata che fonda un’associazio­ne in memoria del proprio povero glio scomparso prematuram­ente. Scomparso? Non sei scomparso, al massimo sei morto. E cosa vuol dire prematuram­ente? Vuol dire che, cazzo, dovevi diventare grande… Ma, in qualche modo impossibil­e da accettare per un genitore, il tuo percorso terreno era compiuto. Inizio a scriverti da subito, una lettera al giorno, perché scrivendo fermo il tempo, elaboro quanto mi accade dentro e intorno. E soprattutt­o, mentre scrivo, siamo inseparabi­lmente insieme. Lì da te, Papo, non lo so cosa succederà. Noi, rimasti da questa parte dell’innito, se non impazziamo di dolore è un tre quarti di miracolo. Ognuno trova la sua cura, Totta sta sempre con gli altri bambini, il suo fratellone, migliore amico di giochi, litigate e avventure si è momentanea­mente assentato, un giorno vi riabbracce­rete. Alla mamma viene da lavorare fuori e in casa e non fermarsi mai. E io ti scrivo. Ti cerco, vado da prete, lama tibetano, medium, io così scettico e fone. Ti trovo nelle parole di un sacco di belle persone. Posto le tue foto e le tue battute. Come queste.

Pranzo dai nonni, Papo: «Che emozione sentire il mio nome quando arriva qualcuno con in mano un piatto di lasagna!». Mentre Papo rabbocca i livelli di lasagna nel sangue, il nonno racconta la storia del bimbo di quattro anni caduto nella gabbia dei gorilla, e l’abbattimen­to del quadrumane da quasi due quintali. Papo sgomento: «Quindi non hanno sparato al bambino?!». Camper, risveglio, esci dal bagno, la porta resta aperta, ci assale un odoraccio, io: «Chiudete la porta del bagno, qualcuno ha fatto la cacca». Totta: «No, papà, ho fatto una puzzetta io». Papo: «Mà, chiudi Totta nel vano portaogget­ti!». Papo, chiacchier­ando con la zia in attesa del primo glio: «Zia, ti stai allenando a fare la mamma?». Area cani, Luna e altri due cani giocano ad azzušarsi, un momento via l’altro passano dallo scodinzola­re gioiosi al ringhiare con fuori tutta la dentiera armata, dimentichi dello stato d’animo di poco prima. Papo attonito: «Pà, ma ’sti cani hanno l’Alzheimer?». Papo appena sveglio: «Oh, pà: ho sognato che ero un velocirapt­or mannaro, combattevo con King Kong che mi dava un pugno e mi faceva perdere il senso dell’umorismo».

Papo, a questo punto la più presente delle assenze si materializ­za e continui a vivere a anco a noi e insieme a chiunque si imbatte nella nostra storia. Con gli amici musichiamo canzoni scritte di tuo pugno; scriviamo un soggetto per un lm che non è la tua biograa ma è un lm a episodi nel quale una bimba, una mamma, un nonno, un medico, un estraneo che legge le lettere, imbattendo­si nel dolore più assurdo e profondo, trasforman­o lo strazio e lo smarriment­o in un percorso d’amore. Insieme allo scriverti la lettera quotidiana, tutto questo diventa una terapia per me e anche per chi mi sta vicino. Centinaia di persone ogni giorno aspettano la nuova lettera per conoscerti meglio, per sapere com’eri, come sei e come sarai, e il bello è che io la scrivo per me e per te, per stare insieme, mica per loro. Grandi e piccoli ridono alle tue battute e tu viaggi per le case della gente. Poi l’articolo di Elisabetta Soglio sul Corriere della Sera scatena la valanga. Tutti sanno e tutti ti vogliono conoscere. Ora ci cercano per pubblicare i tuoi libri. E io sono contento per te, perché sei così forte e bello che non ci fai arrendere alla morte, non la spettacola­rizzi, non la scimmiotti. Fatti a brandelli dal dolore, continuiam­o a vivere sempliceme­nte vivendoti. Abbiamo seguito un bambino di dieci anni che non è in questo mondo e che, da quello a anco, sta scrivendo libri, canzoni e lm. Doc Iacopo mi scrive: «Storie ne ho viste tante, ma qui traspare qualcosa che non è ricordo, è proprio vita. La dišerenza è abissale».

Papo, questo è il lm che stiamo vivendo grazie a te che ne sei il mirabile regista. Non sei un ricordo, sei un bambino che più vivo non si può, e compi ogni giorno il prodigio di far vivere i sogni. Grazie sempre, Papo! Papà

Questo è il ilm che stiamo vivendo grazie a te che ne sei il mirabile regista. Non sei un ricordo, sei un bambino che più vivo non si può

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