Vanity Fair (Italy)

MARCO PIERRE WHITE, IL PRIMO STAR CHEF

Il paradiso in sala, l’inferno in cucina: MARCO PIERRE WHITE è stato il cuoco stellato più celebre e discusso nella Londra degli anni Novanta, con lanci di risotti bollenti e menu scritti a mano in tre settimane. Lui, il primo vero celebrity chef, che all

- MICHELE NERI di

Se oggi l’alta cucina è diventata, sia in termini artistici che di business, il più grande spettacolo del mondo, se lo status di chef, grazie a talent e reality televisivi, ricorda quello delle rockstar, e se la cucina inglese non è più famosa solo per il tradiziona­le sh and chips, lo si deve a quanto accadde alla ne degli anni Ottanta nella claustrofo­bica cucina dell’Harveys, ristoranti­no londinese a sud del Tamigi. Lì, attorno al piano di lavoro si scannavano «come un branco di lupi» sette chef, più lui, Marco Pierre White, capo cuoco nonché proprietar­io: un ventiquatt­renne allampanat­o, selvatico e bello, sempre con la sigaretta tra le labbra. È stato lui il primo, l’originale diavolo dei fornelli: quelli di MasterChef o Hell’s Kitchen sono copie del suo stampo. The Devil in the Kitchen - La vita dannata di uno chef stellato, appena uscito in Italia, è l’autobiogra a del più giovane cuoco premiato con tre stelle Michelin e anche il primo inglese a vincerle. È la rocamboles­ca cronaca dell’esistenza «dannata» di un glio e nipote di cuochi, che si fa da solo andando a bussare alle porte del top gastronomi­co inglese: Gavroche, La Tante Claire, Le Manoir. MPW, la sigla con cui lo chiamano, nato da madre italiana a Leeds nel 1961, riuscirà a cucinare il migliore Pigeon en vessie senza aver mai messo piede in Francia. Dannata perché MPW lavorava cento ore la settimana: drogato di adrenalina, sottoponev­a il suo sta’ a routine massacrant­i. Il libro mostra la di’erenza tra il paradiso della sala e il dramma della ricerca della perfezione che rendeva la cucina un inferno, luogo di scherzi atroci e scontri sici con sottoposti che nivano nei cassonetti della spazzatura. Alla futura star della ristorazio­ne Mario Batali tirò un risotto bollente sulla pancia; a un aiutante che si lamentava del caldo, MPW tagliò giacca e pantaloni con un coltello, creando una «presa d’aria». MPW era un perfezioni­sta anche con i clienti: li allontanav­a dai suoi locali se si avventurav­ano in richieste o proteste giudicate insulse (all’Oak Room del Méridien di Londra, tre stelle Michelin, cacciò un cliente perché si era lamentato per una lampadina fulminata). Quanto perfezioni­sta? La scrittura a mano della lista prendeva tre settimane al cameriere preposto… Intrecciat­a con la storia dei suoi successi, c’è la parabola da enfant terrible dei fornelli: una decina di anni straordina­ri, dove lo chef che non lasciava mai la cucina poneva inconsapev­olmente le basi per lo show planetario di oggi. Dall’Harveys ai più lussuosi locali successivi, ogni sera si ripeteva il MPW show, fatto di scintille incendiari­e e sfuriate, con clienti accompagna­ti fuori e donne che gli mandavano le mutandine per posta o lo assalivano nell’anti-cucina: una sorta di Mick Jagger – o meglio Kurt Cobain, poiché la parabola è stata veloce – con il grembiule. Harveys attirava modaioli, nobili e attori (Oliver Reed era un habitué, sempre ubriaco): per lui lasciavano Chelsea o Mayfair e attraversa­vano il Tamigi. Una vita privata diventata pubblica, tre mogli (la commessa di una pescheria, una modella – con lei durò 15 settimane – e una barista) e l’adrenalina che si espandeva oltre i fornelli, provocando un circo ininterrot­to. Era nato il cuoco celebrity. Il 23 dicembre 1999, al vertice della fortuna, Marco Pierre White ha lasciato le cucine per diventare un ristorator­e di successo, aprendo decine di locali, anche con Michael Caine, il fantino Frankie Dettori e Damien Hirst. Si è ritirato in campagna, vicino a Salisbury, per allevare maiali, pescare, coltivare l’orto, occuparsi dei quattro gli e dei lasciti di una vita turbolenta. Quando gli parlo, si esprime con la calma di una divinità che detta le leggi. Che cosa ricorda del momento della svolta? «Che le rivoluzion­i nascono grazie ai giovani, alle visioni che hanno e cercano di difendere dalla vecchia guardia, che vorrebbe sopprimerl­e». Che cos’ha imparato di sé, scrivendo questo libro? «Da ragazzo pensavo che molti dei miei maestri non si comportass­ero correttame­nte con me: ora ho capito che non era così». Come giudica il mondo attuale dell’alta cucina? «Sono un classicist­a. L’ambiente in cui io sono entrato era ancora quello di Esco©er. Poi è esploso tutto. Oggi viviamo di nuovo un tempo di stagnazion­e, non di rivoluzion­e. Allora l’attenzione era per il cliente, adesso non lo è più. E come potrebbe, se un pasto in un ristorante top prevede 18 portate, piccole, tiepide, con cibo preparato non per essere mangiato, ma guardato. E chi ha la pazienza per aspettare 18-20 portate, restando tre ore a tavola? Non voglio un cameriere che mi disturbi ogni cinque minuti. Né sentirmi dire cosa sto mangiando mentre mangio, né cosa devo mangiare dopo. Voglio poter scegliere». E ai fornelli cos’è cambiato? «Allora l’illusione regnava soltanto in sala, ora anche in cucina. La cucina era reale. Per mangiare bene, vado in un’osteria all’angolo con un buon barolo». Il 23 dicembre del 1999, dopo aver conquistat­o tre stelle e aver allevato future star della gastronomi­a come Gordon Ramsay, ha appeso il grembiule al chiodo. A€ermò: «Ero schiavo da 21 anni». «Oggi i grandi cuochi non stanno in cucina. Nel mio mondo, uno chef stellato deve

rimanere ai fornelli. Se sei onesto, devi dire a chi viene nel tuo locale, spendendo un sacco di soldi, che tu non ci sei, che ti sei ritirato, oppure che passi il tempo in television­e. Se vado a un concerto, mi aspetto che sul palco ci sia la rockstar annunciata, altrimenti voglio indietro i soldi. Io ho rinunciato alle stelle perché non avrei potuto vivere una bugia. Avrei perso la mia integrità». È stata la decisione più di€cile? «No. DiŒcile era decidere, ogni volta che un piatto usciva dalla cucina, se le valeva, le tre stelle del ristorante». Cosa pensa dei due milioni di blog dedicati al cibo, del food porn, di Instagram… «Quello che conta è rimasto semplice. I grandi cuochi devono riuscire a dare una prospettiv­a. Il mondo intero li ispira e loro devono trasmetter­e, nel piatto, il risultato di quest’esperienza profonda. Altrimenti non sono grandi chef. Mangiando, io voglio scoprire qualcosa del loro passato, i loro gusti, ricevere un’eredità. Se no è solo ‰nzione. In pochi, oggi, sono in grado di farlo. Sono presi da altro». (Si riferisce ai celebri chef di oggi che nel suo libro descrive così: «Non sembrano stremati, perché non lavorano a atto. Scoppiano di salute. Non hanno bruciature sui polsi e tagli alle mani»). Quando entra in un ristorante dove cade il suo sguardo? «Da nessuna parte. Conta l’atmosfera: c’è o non c’è. Se vado in un ristorante con tre stelle devo percepirla subito». Conosce i ristoranti stellati italiani? «In Italia scelgo piccoli ristoranti familiari, niente di chic. Non vado mai in ristoranti premiati: né in Italia né in Francia o in Spagna. Il mio preferito in assoluto è La Colombe d’Or di SaintPaul de Vence. Il menu non cambia mai. Mi piace che sia romantico. Naturalmen­te, però, non per candele o roba così». Nel libro spiega che la passione per il cibo è nata dalla precoce scoperta della natura, quando trascorrev­a il tempo «perduto nei boschi… O a prendere gamberi d’acqua dolce con le mani». Anche ora è attratto dalla vita bucolica? «Mia mamma è morta quando avevo sei anni: la natura mi ha fatto da madre. Ho avuto un solo sogno: la semplicità, l’ho cercata anche attraverso la fatica. Non mi piacciono le emozioni fuori controllo o le complicazi­oni innaturali». Perché era così ossessiona­to dal lavoro? «Perché ero insicuro, avevo paura di fallire. E per la mia infanzia e per il dolore che avevo provato. Sono guarito imparando a usare le mie dita, le mie mani». TEMPO DI LETTURA PREVISTO: 10 MINUTI

 ??  ?? GIUDICE (DA OSPITE) Marco Pierre White, nel 2011 giudice ospite a MasterChef Australia. Sopra, La Colombe d’Or di Saint-Paul de Vence, ristorante preferito dello chef. A destra, dal libro White Heat del ’90, lo chef con due ospiti nel suo ristorante...
GIUDICE (DA OSPITE) Marco Pierre White, nel 2011 giudice ospite a MasterChef Australia. Sopra, La Colombe d’Or di Saint-Paul de Vence, ristorante preferito dello chef. A destra, dal libro White Heat del ’90, lo chef con due ospiti nel suo ristorante...
 ??  ?? CIBO E SEDUZIONE Marco Pierre White, 55 anni, lo chef inglese che ha rivoluzion­ato la cucina moderna. La foto con lo squalo grigio è stata pubblicata nel libro White Heat del 1990, che ha sdoganato l’immagine di chef sexy.
CIBO E SEDUZIONE Marco Pierre White, 55 anni, lo chef inglese che ha rivoluzion­ato la cucina moderna. La foto con lo squalo grigio è stata pubblicata nel libro White Heat del 1990, che ha sdoganato l’immagine di chef sexy.
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