NON È EROE CHI LOTTA, MA CHI LO RACCONTA
Mi sono ammalata di tumore. È una di quelle cose che, se hai un po’ di s ga, ti capita. Dopo l’intervento chirurgico, nel giugno del 2015, ho iniziato la chemio». All’epoca, Chiara Salvo aveva 52 anni e da due aveva fondato la sua società di produzione televisiva. «Ogni 21 giorni mi ritrovavo con le stesse donne nel reparto ginecologia del Gemelli di Roma. Tra una cosa e l’altra, nisce che ci passi tutto il giorno, così siamo diventate amiche e abbiamo creato un gruppo su Whatsapp. Perché, puoi avere i tuoi cari vicini, puoi fare psicoterapia. Ma niente è più importante che parlare con le “tue simili”». Dalla scoperta di quanto fosse importante condividere e raccontare è nata l’idea di Kemioamiche, docureality in 6 puntate, che parte il 4 febbraio su Tv2000, in occasione della Giornata mondiale contro il cancro (e per aiutare la ricerca, il 28 gennaio, nelle piazze italiane sono in distribuzione le «Arance della salute» di Airc). Un format particolare perché il racconto della malattia delle 9 protagoniste è intervallato da mini-musical. Con canzoni come I Will Survive di Gloria Gaynor o Capelli di Niccolò Fabi. Ci sarebbe dovuta essere una decima protagonista: Francesca Del Rosso, la giornalista autrice anche del blog Le chemio avventure di Wondy su VanityFair.it. È morta di cancro l’11 dicembre. «Era una mia cara amica e avrebbe dovuto fare dei siparietti comici. Purtroppo le sue condizioni sono peggiorate e non è stato possibile. Questa serie è dedicata a lei e a tutte le donne che non ce l’hanno fatta». Al di là dell’esperienza personale, perché realizzare una serie su donne malate di tumore? E, in particolare, al seno?
«Credo che sia utile per chi si trova ad a rontare la stessa situazione. Perché, all’inizio, davvero non sai che cosa ti aspetta. Ho scelto il cancro al seno perché è il più curabile. Con la prevenzione si guarisce è uno slogan ma è anche vero. Il 98 per cento sopravvive». Qual è stata la sua prima reazione dopo la diagnosi? «Ho pensato: “Non è possibile che stia succedendo a me”. Poi, però, scopri di avere risorse sconosciute. Le protagoniste della serie non sono state particolarmente eroiche nell’a rontare la malattia. Semmai lo sono state nell’accettare di raccontarla. Soprattutto l’esperienza della chemio. L’intervento chirurgico è più facile: “Mi opero, lo tolgo”. Due giorni e sei a casa. La chemio è un percorso molto più lungo. La prima settimana dopo ogni somministrazione ti sembra di morire: non riesci ad alzarti dal letto. E man mano peggiora perché le tossine si accumulano. Neppure una volta che hai nito, ti senti come prima. Per un anno ho avuto la mente annebbiata, non ero del tutto lucida». Il momento più di cile? «La perdita dei capelli. È uno choc». Dopo la fase «non è possibile che stia succedendo a me», di solito che cosa succede? «Pensi: “Ce la posso fare, sono più forte della malattia”. Dipende dal carattere e dall’atteggiamento che avevi già prima nei confronti della malattia, però funziona un po’ così per tutte. Lotti e, alla ne del percorso, ti guardi indietro e pensi: “È incredibile. Sono stata Wonder Woman”. C’è chi critica la tesi che il tumore possa essere un’opportunità ma io non sono d’accordo. È l’occasione per avere un punto di vista sul mondo diverso e molto interessante». Lei che cosa ha capito? «Ho imparato ad accettare quello che succede. E a comprendere meglio le persone. Senza giudicare. In un certo senso mi sento migliore di prima. Servono 5 anni per sapere di essere guarita veramente. Se andrà tutto bene, potrò dire che mi è stato utile». Chi c’è passato racconta di amici che si volatilizzano da un giorno all’altro. «Succede. Ma chi fugge, a volte, lo fa per problemi propri. L’ultimo libro di Francesca Del Rosso (Breve storia di due amiche per sempre, ndr) parlava anche un po’ di questo. La mia migliore amica è scomparsa. Ne ho so erto tantissimo, però non l’ho mai giudicata. Ora è tornata e le voglio bene come prima. Ma quello che mi ha sorpreso di più è la reazione degli uomini. Per lo più fuggono o sono assenti. Una ragazza è stata lasciata dal danzato subito dopo la diagnosi». A lei come è andata? «Ho un glio di 17 anni. Con gli adolescenti è dicile, più che con i bambini. Una delle ragazze, Stefania, ha messo in scena una sorta di La vita è bella per i gli di 7 e 8 anni: per proteggerli si era inventata che doveva tagliarsi i capelli a zero perché stava girando un lm tipo Soldato Jane con Demi Moore. Loro erano entusiasti». E suo glio? «Ho scelto di non farmi mai vedere calva da lui. Ho pensato che fosse meglio. Un po’ all’inizio si vergognava di me. Mi diceva: “Non venirmi a prendere a scuola”. Non perché non mi voglia bene, credo fosse un modo per prendere le distanze dalla malattia». Le protagoniste della serie hanno deciso di raccontarsi. Ma immagino che molte, al contrario, decidano di non parlare della malattia. «Sì. Non lo fanno neanche dopo essere guarite, preferiscono rimuovere. È una scelta rispettabile. Io stessa non ero così convinta di fare coming out. Mi ero presa una bella parrucca e nessuno si era accorto di niente. Al lavoro mi dicevano: “Ma che taglio meraviglioso”. Poi, però, mi sono resa conto che era meglio dirlo. Ed è stato utile anche per me».