Vanity Fair (Italy)

NON È EROE CHI LOTTA, MA CHI LO RACCONTA

- Di ENRICA BROCARDO

Mi sono ammalata di tumore. È una di quelle cose che, se hai un po’ di s ga, ti capita. Dopo l’intervento chirurgico, nel giugno del 2015, ho iniziato la chemio». All’epoca, Chiara Salvo aveva 52 anni e da due aveva fondato la sua società di produzione televisiva. «Ogni 21 giorni mi ritrovavo con le stesse donne nel reparto ginecologi­a del Gemelli di Roma. Tra una cosa e l’altra, nisce che ci passi tutto il giorno, così siamo diventate amiche e abbiamo creato un gruppo su Whatsapp. Perché, puoi avere i tuoi cari vicini, puoi fare psicoterap­ia. Ma niente è più importante che parlare con le “tue simili”». Dalla scoperta di quanto fosse importante condivider­e e raccontare è nata l’idea di Kemioamich­e, docurealit­y in 6 puntate, che parte il 4 febbraio su Tv2000, in occasione della Giornata mondiale contro il cancro (e per aiutare la ricerca, il 28 gennaio, nelle piazze italiane sono in distribuzi­one le «Arance della salute» di Airc). Un format particolar­e perché il racconto della malattia delle 9 protagonis­te è intervalla­to da mini-musical. Con canzoni come I Will Survive di Gloria Gaynor o Capelli di Niccolò Fabi. Ci sarebbe dovuta essere una decima protagonis­ta: Francesca Del Rosso, la giornalist­a autrice anche del blog Le chemio avventure di Wondy su VanityFair.it. È morta di cancro l’11 dicembre. «Era una mia cara amica e avrebbe dovuto fare dei siparietti comici. Purtroppo le sue condizioni sono peggiorate e non è stato possibile. Questa serie è dedicata a lei e a tutte le donne che non ce l’hanno fatta». Al di là dell’esperienza personale, perché realizzare una serie su donne malate di tumore? E, in particolar­e, al seno?

«Credo che sia utile per chi si trova ad a rontare la stessa situazione. Perché, all’inizio, davvero non sai che cosa ti aspetta. Ho scelto il cancro al seno perché è il più curabile. Con la prevenzion­e si guarisce è uno slogan ma è anche vero. Il 98 per cento sopravvive». Qual è stata la sua prima reazione dopo la diagnosi? «Ho pensato: “Non è possibile che stia succedendo a me”. Poi, però, scopri di avere risorse sconosciut­e. Le protagonis­te della serie non sono state particolar­mente eroiche nell’a rontare la malattia. Semmai lo sono state nell’accettare di raccontarl­a. Soprattutt­o l’esperienza della chemio. L’intervento chirurgico è più facile: “Mi opero, lo tolgo”. Due giorni e sei a casa. La chemio è un percorso molto più lungo. La prima settimana dopo ogni somministr­azione ti sembra di morire: non riesci ad alzarti dal letto. E man mano peggiora perché le tossine si accumulano. Neppure una volta che hai ‰nito, ti senti come prima. Per un anno ho avuto la mente annebbiata, non ero del tutto lucida». Il momento più di cile? «La perdita dei capelli. È uno choc». Dopo la fase «non è possibile che stia succedendo a me», di solito che cosa succede? «Pensi: “Ce la posso fare, sono più forte della malattia”. Dipende dal carattere e dall’atteggiame­nto che avevi già prima nei confronti della malattia, però funziona un po’ così per tutte. Lotti e, alla ‰ne del percorso, ti guardi indietro e pensi: “È incredibil­e. Sono stata Wonder Woman”. C’è chi critica la tesi che il tumore possa essere un’opportunit­à ma io non sono d’accordo. È l’occasione per avere un punto di vista sul mondo diverso e molto interessan­te». Lei che cosa ha capito? «Ho imparato ad accettare quello che succede. E a comprender­e meglio le persone. Senza giudicare. In un certo senso mi sento migliore di prima. Servono 5 anni per sapere di essere guarita veramente. Se andrà tutto bene, potrò dire che mi è stato utile». Chi c’è passato racconta di amici che si volatilizz­ano da un giorno all’altro. «Succede. Ma chi fugge, a volte, lo fa per problemi propri. L’ultimo libro di Francesca Del Rosso (Breve storia di due amiche per sempre, ndr) parlava anche un po’ di questo. La mia migliore amica è scomparsa. Ne ho so erto tantissimo, però non l’ho mai giudicata. Ora è tornata e le voglio bene come prima. Ma quello che mi ha sorpreso di più è la reazione degli uomini. Per lo più fuggono o sono assenti. Una ragazza è stata lasciata dal ‰danzato subito dopo la diagnosi». A lei come è andata? «Ho un ‰glio di 17 anni. Con gli adolescent­i è di›cile, più che con i bambini. Una delle ragazze, Stefania, ha messo in scena una sorta di La vita è bella per i ‰gli di 7 e 8 anni: per proteggerl­i si era inventata che doveva tagliarsi i capelli a zero perché stava girando un ‰lm tipo Soldato Jane con Demi Moore. Loro erano entusiasti». E suo glio? «Ho scelto di non farmi mai vedere calva da lui. Ho pensato che fosse meglio. Un po’ all’inizio si vergognava di me. Mi diceva: “Non venirmi a prendere a scuola”. Non perché non mi voglia bene, credo fosse un modo per prendere le distanze dalla malattia». Le protagonis­te della serie hanno deciso di raccontars­i. Ma immagino che molte, al contrario, decidano di non parlare della malattia. «Sì. Non lo fanno neanche dopo essere guarite, preferisco­no rimuovere. È una scelta rispettabi­le. Io stessa non ero così convinta di fare coming out. Mi ero presa una bella parrucca e nessuno si era accorto di niente. Al lavoro mi dicevano: “Ma che taglio meraviglio­so”. Poi, però, mi sono resa conto che era meglio dirlo. Ed è stato utile anche per me».

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