L’IDEA DELLA FEDELTÀ, DELL’ASSOLUTA ONESTÀ RECIPROCA, MI DÀ ALLA TESTA
Tornando alla scena del lm? «Sul set c’era un’insegnante di danza meravigliosa. Siamo diventate amiche e abbiamo lavorato di nuovo insieme per un videoclip dei Massive Attack (Voodoo in My Blood del 2016, ndr). Mi ha detto: “Dimenticati di essere una signora inglese. Devi muoverti come fossi un bambino che indossa un…”. In italiano lo chiamate pandolino? Anzi no, aspetti: pannolino». Giusto. Come fa a saperlo? «Ero in vacanza con i bambini e sono dovuta andare a comprarli. Sono stata spesso in Italia. La prima volta a 11 anni con mio padre. Era un cantante d’opera ed era stato invitato a un festival a Montepulciano. Viaggiammo in auto da Londra e rimanemmo tutta l’estate in Toscana. Non avevo mai visto un posto più bello, e mi piaceva stare in mezzo a quel gruppo di adulti, tutti artisti. Uno di loro aveva un’auto sportiva biposto, una Triumph Spitre gialla, e siccome ero abbastanza minuta da potermi inlare nello spazio dietro i sedili, ogni volta che partiva per un giro saltavo a bordo. Fu un’estate magica. Da allora sono tornata molte volte. La sorella di mio marito ha vissuto per anni in Italia, i suoi gli sono andati a scuola lì, parlano italiano». Ha detto marito. Si è sposata? «In realtà no. Solo che sono stufa di dire: “Il mio boyfriend ”. Abbiamo due gli, anche se non siamo formalmente marito e moglie è come se lo fossimo». Ai suoi gli sta facendo fare esperienze straordinarie come le sue? «Non che l’abbia pianicato, ma mi sono resa conto che sì, stanno crescendo in modo simile a me da questo punto di vista. Li ho portati in Botswana, per esempio. Un giorno la moglie di David ha accompagnato Solo, il più grande, in una chiesa: erano le uniche due persone bianche. Di recente siamo stati a Tangeri in Marocco, e poi nel deserto in New Mexico. Ma le cose stanno per cambiare: presto Solo andrà a scuola, non potrà più venire con me dappertutto». A proposito di cambiamenti, immagino che la nomination agli Oscar abbia dato una svolta alla sua carriera? «Vedermi interpretare un personaggio così estremo ha convinto produttori e registi ad adarmi sde più impegnative. Avrei voluto avere quella chance a vent’anni, o comunque prima nella mia carriera? Non so. Sono sempre stata pazza, è solo che c’è voluto tempo perché la gente se ne accorgesse». Pazza in che senso? «Fin da piccola mi sono sempre sentita più a mio agio nei panni di qualcun altro. Ho girato da poco Hostiles (di Scott Cooper, ndr). Per tre mesi, sul set, mi sono sentita come se sapessi esattamente chi ero. Poi sono tornata a casa, ho aperto il guardaroba e mi sono sentita persa: nessun vestito mi sembrava adatto a me». Questo che indossa, a dire il vero, le sta benissimo. «Ma l’ho preso in prestito. Così è come se indossassi un costume di scena, capisce? Non è una sorta di disturbo psicologico questo voler sempre far nta di essere qualcun altro?». Lei sembra avere un rapporto piuttosto tormentato con gli abiti: una volta ha detto che quelli da tappeto rosso li vorrebbe poter indossare più volte, per non doverci pensare ogni volta. «Quando Riccardo (Tisci, stilista di Givenchy, ndr) ha disegnato per me il meraviglioso abito degli Oscar, ci siamo incontrati, siamo andati a pranzo, abbiamo parlato di design, di colori: era il frutto di una collaborazione, di un rapporto. Ma la maggior parte delle volte è una specie di guerra. Vogliono sempre che tu metta in mostra il corpo, mentre io preferisco modelli che mi coprano. Tipo una bella tenda».