Vanity Fair (Italy)

Non avere paura, non voglio sposarti

Protagonis­ta dell’horror più atteso della stagione, MATILDA LUTZ ci racconta come, da italiana, ha conquistat­o Hollywood. E come ha spaventato i ragazzi americani

- di SIMONA SIRI

Sono stata scelta tra cinquemila ragazze», mi dice Matilda Lutz quasi fosse normale, tra una risata e l’altra, tra una parola in italiano e una in inglese, come se niente fosse questo particolar­e che da solo dovrebbe darle la misura di quanto è grande quello che le sta capitando. Siamo in un albergo di Los Angeles, dove Matilda vive da tre anni, da quando ha mollato gli studi di Psicologia a Milano per inseguire quello che allora era solo un istinto. «Sono arrivata per uno stage di recitazion­e, dovevo fermarmi un mese, invece nito il corso ho deciso di trovarmi un lavoro e di rimanere». Il resto è la classica trala – cameriera in un ristorante, incontro fortuito con un bravo agente, provino per una serie tv – che a Hollywood accomuna migliaia di ragazze, ma che per pochissime si conclude con la realizzazi­one del sogno. Lanciata all’ultimo Festival di Venezia dal lm di Gabriele Muccino L’estate addosso, Matilda dal 3 febbraio è nei cinema americani (e poi in quelli del resto del mondo) nei panni di Julia, la protagonis­ta di Rings, terzo capitolo della fortunata saga horror iniziata nel 2002 con The Ring (protagonis­ta Naomi Watts, che fece anche il sequel nel 2005). Rings potrebbe essere il trampolino di lancio di una carriera hollywoodi­ana con tutti i crismi, una possibilit­à che non capita a un’attrice italiana dai tempi di Valeria Golino in Rain Man (era il 1988: Matilda non era ancora nata). «Non so davvero che cosa succederà. È come se tutti si accorgesse­ro di quello che mi sta succedendo tranne me», dice sinceramen­te sorpresa. Padre americano e madre italiana, entrambi ex modelli («Si conobbero sul tram durante la settimana della moda, come in un lm»), dopo la separazion­e dei genitori Matilda è cresciuta a Milano con la madre, nel frattempo diventata addetta stampa (il padre ora fa il fotografo). Un’infanzia normale, un’adolescenz­a serena, la vita che sembra andare in una direzione no a tre anni fa, quando decide di frequentar­e il corso di recitazion­e. Se questo di Hollywood è un sogno, lei intanto però tiene gli occhi ben aperti. Ha già visto il lm fatto e nito? «No, e l’idea mi dà un po’ d’ansia, perché non so come reagirò. La verità è che non mi piace rivedermi. A Venezia, quando mi sono rivista per la prima volta nel lm di Muccino, alla sera sono tornata in albergo e sono scoppiata a piangere. Spero vada meglio questa volta». Come arriva un’italiana a essere protagonis­ta dell’horror più atteso del 2017? «Per caso. Il primo provino per Rings l’ho fatto mandando un video. Poi la cosa mi è passata di mente, anche perché nel frattempo ero stata presa per il pilot di una serie Hbo. Quando da Paramount mi hanno richiamata, quasi non volevo andare: è stato il mio agente a insistere. Ho saputo dopo di essere stata scelta tra cinquemila». Ha visto La La Land? La sua storia ricorda quella del personaggi­o di Emma Stone. «L’ho visto, e mi ha fatto piangere perché dentro c’è molta verità. Mi sono parecchio identicata in quell’aspirante attrice che, anche se il sogno di un lm si allontana sempre più, la sera non vuole andare alle feste, preferisce stare a casa a studiare i copioni. Io sono così: zero mondanità». Mai avuto tentenname­nti, voglia di mollare tutto e tornare a casa? «Ho avuto un periodo l’anno scorso in cui mi sono chiesta: voglio davvero questa vita? Alla ne ho deciso di rimanere perché sto imparando tantissimo, ed è questo l’aspetto più bello. Il motivo per cui ho iniziato a recitare è il divertimen­to, la gioia che mi dà. Il giorno in cui dovesse nire, smetterò». Come mai gli attori italiani a Hollywood non hanno mai avuto troppa fortuna? A parte Valeria Golino, e per certi versi Monica Bellucci, nessun italiano ha sfondato in America in tempi recenti. «Il primo ostacolo è la lingua. Io da questo punto di vista sono molto avvantaggi­ata: mio padre è americano, mi ha cresciuta bilingue. Il secondo motivo direi che è la fatica: Hollywood non è tutto glamour come sembra. A me mette ansia, per esempio, il dover fare interviste a ra¢ca agli incontri con la stampa di tutto il mondo, però è un impegno a cui non si sfugge. Qui c’è tanta pressione: se non sei forte, se non hai una base solida di amicizie e famiglia, è molto di¢cile sopportare lo stress. Le conversazi­oni sono tutte basate sul “che cosa farai dopo? Qual è il tuo nuovo progetto?”, perché qui fare l’attore è un lavoro vero, non come in Italia dove è ancora visto come qualcosa a metà tra una forma d’arte e un hobby. E c’è una competizio­ne incredibil­e, rimane solo chi è davvero molto motivato e forte». In un ambiente così, come si fa a restare sani di mente? «Devi tenere le distanze: tu come attore fai del tuo meglio, ma poi quando è nito il lm non è più nelle tue mani, quindi pazienza, guardi avanti e pensi al prossimo progetto». I suoi genitori sono contenti? «Mio padre vive a New York da tempo e, per tutta la mia adolescenz­a, ha cercato di convincerm­i a passare da lui sei mesi all’anno. Non gli ho mai dato retta: al massimo andavo un mese, poi tornavo a casa, dagli amici, dalla quotidiani­tà. Quando gli ho detto che sarei rimasta a Los Angeles non voleva crederci, lui mi immaginava in Italia, già sposata e con gli: da ragazzina tendevo ad accudire, ero quella che si preoccupav­a sempre degli altri».

Con due genitori nel mondo della moda, immagino sia stata molto a contatto con shooting e s late. «Mio padre mi portava sul set, ma non ha mai voluto farmi fare la modella da bambina. Di questo lo ringrazio. Quando qui vedo i bambini che già lavorano, mi fanno impression­e: a Hollywood girano cinquenni più scafati di me». Però che era bella l’avrà capito presto. «Non mi sono mai sentita bella. Avevo le sopraccigl­ia troppo folte, ero strana. Ora vanno di nuovo di moda». Com’è la vita social a Los Angeles? «Praticamen­te frequento solo europei. Il coinquilin­o e la mia migliore amica sono italiani, poi c’è uno spagnolo, un brasiliano che fa eccezione. Il modo di frequentar­ci di noi italiani è diverso rispetto agli americani: qui gli amici si vedono una volta al mese, noi tutti i giorni». Davvero non va alle feste? Non ha mai incontrato nessuna star? «Ma sì, ogni tanto vado, però non sono una che si impression­a particolar­mente davanti al divo di turno. L’unica che mi ha fatto rimanere davvero senza ‰ato e davanti alla quale ho quasi pianto è stata Julia Roberts: ero a una festa e l’ho riconosciu­ta dalla voce, era proprio dietro di me». Se l’è fatta presentare? «No, sono troppo timida. Però a un’altra festa ho conosciuto Matt Damon e abbiamo parlato. Molto gentile e con i piedi per terra, per nulla divo. Ah, poi ho conosciuto Naomi Watts, ma è stato prima di sapere che avrei fatto la sua parte nel nuovo Rings». Il futuro lo vede qui o in Italia? «Mai dire mai. A volte quando torno in Italia mi viene la nostalgia: è tutto così bello. Ecco, se potessi esprimere un desiderio sarebbe di arrivare a un punto della carriera dove posso permetterm­i di non vivere a Los Angeles e di dire ai produttori: se mi volete, sapete dove trovarmi». Allora non deve sposare un americano. «Sono single, non c’è pericolo». Non le piacciono? «È che qui ci sono regole diverse: uscire con un ragazzo non vuol dire che entrambi non frequentin­o contempora­neamente altre persone. Io non lo sapevo: quando ho detto a un tipo che stavo uscendo solo con lui, mi ha guardato come se gli avessi chiesto di sposarmi. Con il terrore negli occhi».

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