CORRENTI FRESCHE
SSe in Europa sempre più quarantenni e cinquantenni dimostrano dieci anni in meno, in Corea si arriva quasi al doppio, perché far perdere i riferimenti anagra ci è il fulcro dell’intera beauty routine coreana. L’obiettivo si chiama baby face o pearl face: una pelle da bambino, liscia e perfetta come una perla. Ma per ottenerla, il make-up del viso è piuttosto pesante e di conseguenza rimuoverlo bene è importante. «La detersione è fondamentale per le coreane per due ragioni: la prima è l’utilizzo di molti strati di fondotinta e la seconda è l’alto livello di inquinamento dell’aria», spiega Michael Nolte, direttore creativo dell’agenzia di analisi e previsione delle tendenze di bellezza Beautystreams. Il loro regime di pulizia si regge su due passaggi: struccare e detergere, secondo il rito del double cleanser. «È un’abitudine diusa anche da noi», dice Nicola Lionetti, cosmetologo dei Rigano Laboratories. «Prima di lavare il viso si toglie gran parte del trucco con uno struccante: se la pelle è secca l’ideale è un’emulsione, se è grassa meglio un’acqua micellare, che rimuove i grassi in super cie in modo delicato». Le orientali, in particolare le giapponesi, proseguono con l’olio, che dissolve le sostanze inquinanti, in genere di natura lipidica, secondo il principio chimico del «simile che scioglie il simile».
Tra polveri, tè verde e yuzu
Questi sono solo due dei dieci passaggi della K-Beauty, per cui non annoiarsi diventa una priorità. È nata infatti in Corea l’arte dell’intrattenimento applicata alla detersione: il cleantainment (e più in generale skintainment), che prevede l’uso di device di pulizia meccanica colorati e di design, di texture camaleontiche e guanti in panno. «La moda è nata dieci anni fa in Giappone con le polveri detergenti che a contatto dell’acqua diventano schiume. Da lì le altre aziende hanno iniziato a inventarsi texture capaci di trasformarsi e sorprendere», continua Nolte. Il concetto è simile a quello dei detersivi. «I tensioattivi allo stato puro sono in polvere e vengono veicolati con l’acqua solo successivamente», spiega Lionetti. «Senza questo passaggio la produzione è più economica ed eco-sostenibile, perché non si spreca acqua, e il prodotto
nale è più leggero e duraturo». In Occidente la chimica verde, quindi la sostenibilità ambientale, è uno dei principali impegni nel settore della detergenza, mentre in Oriente la parte più verde sta negli ingredienti: «Nella cosmetica coreana l’ultima tendenza che importeremo presto», prevede Nolte, «è quella di usare sostanze vegetali delle regioni asiatiche, come il ginseng, il tè verde dell’isola vulcanica di Jeju, lo yuzu, un piccolo agrume giapponese dall’elevata concentrazione di vitamina C, le perle, dal forte potere schiarente, il miele fermentato, idratante naturale, e l’acqua di betulla, birch juice, usata nelle formule al posto dell’acqua perché più ricca di aminoacidi e sali minerali». Nei detergenti però il naturale non può fare a meno di sostanze di sintesi, altrimenti svanisce l’ecacia lavante data da tensioattivi quali il temuto Sodium Lauryl Sulfate (SLES). «Si tende sempre più a miscelare tensioattivi più aggressivi come lo SLES, che garantisce una schiuma più piacevole al tatto, ad altri più delicati, quelli che in laboratorio chiamiamo mild. Ma il 100% naturale non è un bene a prescindere: quando leggo troppi free of non mi do dell’ecacia», confessa Lionetti. Il primo modo per evitare allergie e irritazioni? Variare le formule e risciacquare bene il detergente: la maggior parte dei problemi è data dal fatto che ne usiamo troppo.