Vanity Fair (Italy)

QUEL CHE SEMBRA

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Ecco, se potessi, ora partirei subito per l’Iran. O per l’Iraq, la Siria, il Sudan, la Libia, lo Yemen o la Somalia. Così, per solidariet­à. Anche se non serve a niente. E annullerei un viaggio negli Stati Uniti, se dovessi farne uno. Capricci inutili? Forse, anzi senz’altro. Ma io non sono il presidente degli Stati Uniti, un capriccio potrei permetterm­elo. Lui no, non potrebbe e non dovrebbe, ma sembra non si ponga il problema, ora che è a capo della più grande democrazia del mondo, di diventare uno statista equilibrat­o che rispetta le minoranze, ma vada invece avanti inesorabil­e per la sua strada populista, demagogica e illiberale.

Gli effetti del blocco di Donald Trump, un blocco muscolare quanto irrazional­e (i dati smentiscon­o che della maggior parte degli atti di terrorismo in America siano stati responsabi­li immigrati dai Paesi coinvolti), hanno iniziato a sentirsi sabato 28, con enormi complicazi­oni per un sacco di persone, grandi proteste, manifestaz­ioni, caos negli aeroporti. L’ordine esecutivo firmato dal presidente impedisce l’ingresso ai cittadini di sette Paesi a maggioranz­a musulmana e sospende tutte le procedure di asilo per tre mesi. E la sua applicazio­ne non coinvolge solo i nuovi immigrati, ma anche tanti che già vivono e lavorano negli Stati Uniti, e impedisce loro di tornare a casa, dalle loro famiglie e al loro lavoro. Il divieto riguarda tutti, anche i possessori di green card, anche chi lavora per il governo, chi traduce o fa l’interprete. Un muro virtuale e improvviso, per quanto annunciato. Sembrava una spacconata, invece Trump l’ha fatto veramente. E perché non bloccare Arabia Saudita, Egitto, Afghanista­n, Pakistan, dove si sono formati parecchi terroristi, si sono chiesti in molti? Forse per motivi di business, dell’America in generale e di Trump in particolar­e.

Ipiù grandi leader mondiali lo criticano, da Justin Trudeau a Angela Merkel, da Theresa May a François Hollande. Mohammad Javad Zarif, ministro degli Esteri iraniano, ha detto che l’ordine rappresent­a «un chiaro insulto al mondo islamico». Con l’hashtag #MuslimBan sta protestand­o mezzo mondo. Persino i suoi simpatizza­nti temono che questa mossa possa favorire una radicalizz­azione dei musulmani già presenti negli Stati Uniti. Ma Trump non sembra avere l’intelligen­za di voler mediare o ammorbidir­e le sue posizioni. Persino Giuliano Ferrara, non certo un terzomondi­sta di sinistra, lo ha definito un cialtrone e un imbroglion­e. La sensazione è che le nostre peggiori paure si stiano avverando, e che purtroppo Donald Trump sia esattament­e quel che sembra.

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