Vanity Fair (Italy)

COME DENTRO UN FILM (DI VENT’ANNI FA)

- di GUIA SONCINI

Il governator­e dell’Idaho era noto per le sue idee liberal, ma «da quando ha preso una posizione anti-immigrazio­ne ha guadagnato dodici punti nei sondaggi». C’è un aereo pieno di orfani pakistani, scappano da un’esplosione nucleare, ma lui mette il veto: in Idaho non possono atterrare, sono incompatib­ili col suo nuovo slogan «L’America, come dovrebbe essere». Le television­i e le organizzaz­ioni non governativ­e gli chiedono se non si vergogni, e lui sorride impacciato: «Certo che mi dispiace per quei poveri orfani pakistani, ma io non vivo in Pakistan: vivo qui, nel sogno americano». È il 1997 quando La seconda guerra civile americana passa al festival di Venezia. Il governator­e dell’Idaho è interpreta­to da Beau Bridges, ciancia di «proteggere la propria identità culturale» mentre ordina fajitas per colazione, e pensa solo ai propri problemi sentimenta­li: no, non ha sposato una Melania slovena; ha invece un’amante messicana, Christina, giornalist­a furibonda per le politiche anti-immigrazio­ne: «Sono arrivata qui a tre anni, sono una di quelli che lui vorrebbe respingere». Siccome lì a non far scendere dagli aerei i profughi e voler erigere muri è un governator­e, il presidente lo contrasta. Ma non è molto più sveglio di lui, e ha consiglier­i che si preoccupan­o di non affaticarl­o e di spostare la cosa sul piano dell’immagine: «La gran cosa dell’immagine è che sembri uno che prende decisioni forti, ma mica devi prenderle». Finirà con la guerra civile, ma per sbaglio, per cialtroner­ia, per un equivoco: la farsa era già prevista vent’anni fa. Il tutto è visto dagli studi di una Tv che copre l’evento. Subito, il producer vede l’inizio del disastro e sospira: «Ha chiuso i confini. Dio sia ringraziat­o per l’ignoranza e l’avidità, altrimenti staremmo tutti a fare televendit­e».

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