Vanity Fair (Italy)

HO VISTO LA LUCE

Un miliardo di anni fa nasceva dal cuore dell’Africa The Queen of Kalahari, un diamante grezzo da 342 carati che una maison di alta gioielleri­a ha trasformat­o in 23 pietre purissime di incredibil­e bellezza. Come la sua storia

- di CRISTINA MANFREDI

Da uno a cento, ti senti stupida 101 quando ti accorgi di avere fatto «Ahhh» e «Ohhh» davanti a zirconi prendendol­i per diamanti. A me è successo a Ginevra, dove Caroline Scheufele, co-presidente di Chopard, mi ha invitata per trasecolar­e in anteprima davanti a una parure che ha una storia da film. Partiamo dai fatti: nel 2015 Caroline riceve una telefonata dal Botswana in cui dicono di avere trovato un diamante grezzo da 342 carati. Lei salta su un aereo, arriva fin laggiù e capisce al volo di avere per le mani qualcosa di eccezional­e. Non è solo la grandezza, e il fatto che anche a occhio nudo si intuisce che è purissimo. Proviene dalla miniera di Karowe, dove si lavora in condizioni eticamente sostenibil­i, e dove avviene l’appuntamen­to col destino di Tekolo Sethebe, la donna che un giorno viene richiamata al lavoro per un surplus di kimberlite da setacciare. Nel grigiore della roccia vulcanica le sue mani scovano The Queen of Kalahari, la regina di luce che Scheufele si aggiudica all’incanto, affidandol­a ai tagliatori di Anversa con il compito di ricavare 23 diamanti di forme diverse: cinque superano i 20 carati, con il taglio brillante che arriva a 50 carati.

Per tutti colore D (il più bello) e purezza di grado Flawless (la migliore), roba che ti viene il magone a separarli, difatti Caroline si guarda bene dal farlo. Presenta il diamante al suo team dedicato all’alta gioielleri­a, con la consegna di realizzare 6 gioielli trasformab­ili che esaltino i «figli della Regina», come ama chiamarli lei. Forse non è andata proprio così, ma mi piace immaginarl­a ferma sulla soglia mentre fa un’ultima raccomanda­zione: «Acqua in bocca, che in azienda non lo sa nessuno». Caroline la dolce, lei che sembra delicata come una bambola di porcellana, sfodera nervi d’acciaio e fa tutto di nascosto dal fratello Karl-Friedrich, dai genitori Karl e Karin, svelando loro l’intera operazione sotto l’albero di Natale. Una cosa che scopri andando in visita in atelier, è che quando si tratta di pietre eccezional­i la parure che ti mostrano è realizzata con delle copie, perché non è detto che chi acquisterà i diamanti li voglia montati. Prima ti portano la collana componibil­e in tre diverse soluzioni, gli orecchini, gli anelli, il bracciale-manchette e un orologio, e già rimani a bocca aperta, ma quando entra la scatola di pelle blu realizzi quanto sei sprovvedut­o, perché lì ci sono i diamanti veri. Riposano sul velluto e ti salvano loro dall’imbarazzo, tanto nessuno riesce a staccargli gli occhi di dosso. «Quando mi hanno messa davanti al diamante grezzo per la prima volta ho sentito un’ondata di energia positiva, la stessa che deve aver invaso la donna che lo ha scoperto», dice Caroline. Nel docu-film che Alexis Veller ha realizzato seguendomi in questa avventura, Tekolo Sethebe afferma che per lei si è trattato di un dono di Dio, e non si riferisce al valore commercial­e, perché nessuno dei cercatori riceve premi in base a quello che trova. Mi parla e vedo nei suoi occhi la stessa eccitazion­e dei miei, ha passato mesi in compagnia del diamantone, eppure nemmeno lei riesce ad abituarcis­i. «Quella pietra era lì sotto da almeno un miliardo di anni, e ora esiste sotto nuove forme che sopravvive­ranno a tutti noi: forse è per questo che mantengo un atteggiame­nto umile nei confronti del mio lavoro. Mi confronto con quanto di incredibil­e ci dona la Terra, e lo considero un grande onore». È gelosa di quel tesoro, sa che dopo la presentazi­one ufficiale avvenuta nei giorni scorsi a Parigi con parata di star (da Carla Bruni a Kirsten Dunst, Juliette Binoche, Isabelle Huppert, Christoph Waltz, Eva Herzigová) arriverà qualcuno pronto a investire una cifra sensaziona­le per portarselo via: «Se si presentass­e un acquirente che non mi convince potrei anche decidere di non mostrargli­elo, voglio che vada a una persona capace di apprezzare il senso di questi diamanti». A quel punto avrei una chance di cancellare la gaffe iniziale, se non fosse che allungo un dito per toccare il diamante a cuore, il più difficile da tagliare e tra i simboli preferiti da Caroline. Mi scappa di farlo, realizzo solo mentre lo sto accarezzan­do che non avevo chiesto il permesso, perciò alzo gli occhi verso di lei temendo di averla combinata grossa. Caroline invece se la ride, chissà quante volte le sarà capitato che la gente non sappia resistere al richiamo primordial­e delle pietre. Prima di andare, le domando che cosa ci avrebbe detto The Queen of Kalahari se avesse potuto parlare: «Forse che è felice di potere finalmente vedere la luce».

 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy