Vanity Fair (Italy)

LINUS: 40 ANNI DA DEEJAY

È un timido ma gli piace andare a comandare. È un vecchio («Sì, vecchio») brontolone ma per fortuna esiste la crioterapi­a. LINUS, disc jockey da 40 anni e vicino ai suoi 60, festeggia un anniversar­io importante senza nessuna intenzione di mollare. E con l

- di FERDINANDO COTUGNO

«LA VITA CI IMPONE DI ESSERE BUONI, DI NON FERIRE GLI ALTRI. MA CHE BELLO SAREBBE, OGNI TANTO, ESSERE DAVVERO EGOISTI»

La prima cosa che penso, mentre parlo con Linus, è a come sta seduto. Si sporge verso di me sulla sedia, con le ginocchia da maratoneta unite e i piedi divaricati. È la postura di un timido, che non è quello che immagini da uno che fa il deejay da quarant’anni. La seconda è che Linus è davvero gentile per uno che passa sempre per avere un pessimo carattere (pessimo carattere è un eufemismo). Per lui e la sua Radio Deejay (sua perché ne è il direttore, oltre a fare Deejay chiama Italia ogni mattina con Nicola Savino) sono giorni di festa: il 1° febbraio si celebrano i 35 anni della radio con una festa al Pala Alpitour di Torino con tutte le voci del network. Il tassista che mi ha portato all’intervista stava ascoltando la diretta di Linus e mi ha spiegato la sua teoria: «Sa perché Linus è proprio bravo? Perché tanti, con un microfono in mano, diventano dittatori, invece lui rimane democratic­o». Linus, concorda? È un democratic­o del microfono? «Mi piace anche comandare, dare la sensazione che so dove sto andando. A volte la democrazia è un modo per far contenti tutti senza andare da nessuna parte. C’è bisogno di qualcuno che sappia la strada, vale per il lavoro, vale per la vita privata». Poi a volte basta dare la sensazione. «Vero. E non ho paura di fare retromarci­a, solo i cretini sono coerenti». Un esempio? «Gli amici Elio e le Storie Tese mi prendono in giro perché ero in studio quando stavano incidendo La terra dei cachi per Sanremo, e dissi: “A me fa schifo”, e poi fu un trionfo. Ma rimango dell’idea che quella canzone non mi piace». Volevo chiederle: come sta? In fondo, ai capi nessuno lo chiede mai davvero. «È la mia più grande difficoltà esistenzia­le. Essere sempre il fratello maggiore di qualcuno e, come tutti i fratelli maggiori, non avere qualcuno a cui rivolgermi. È la solitudine del potere, per quanto sia un potere ridicolo. È un peso complicato, mi sento come il mozzo di una ruota, tutti i raggi tirano verso l’esterno e io devo tenere sempre tutti insieme». Sembra faticoso. «Sono un vecchio brontolone, e lo ero anche da ragazzo, ero un giovane brontolone. Sono sempre insoddisfa­tto, sempre a cercare qualcosa che mi appaghi di più. Ogni tanto dico: “Basta, non ce la faccio più”, poi mi ricordo quanto sono fortunato, quanto è bella la libertà di cui godo». C’è qualche ambizione lasciata per strada che le pesa? «A volte mi chiedono se mi dispiace non avere avuto la visibilità di un Gerry Scotti o di un Fabio Volo. Ovviamente un po’ sì, ma anche no». Come la vende a se stesso che in fondo va bene? «Me la vendo che qui sono padrone delle mie scelte. Per avere ciò che hanno avuto loro sarei dovuto passare per situazioni a cui non avrei saputo sottostare. Il 90% di quello che vedo in Tv non mi piace. Sono solo geloso di Gerry perché fa il quiz. Ogni tanto vedo conduttori e si capisce che fanno la domanda ma non saprebbero mai la risposta. Ecco, io sarei uno di quelli che sanno quasi sempre la risposta, come Gerry». Un mago di Trivial Pursuit. «Sì, mi piace quel nozionismo un po’ inutile, e pensare che potrei sostenere almeno trenta secondi di discussion­e con chiunque». Radio Deejay festeggia 35 anni: a lei piace festeggiar­e le ricorrenze? «Mi causano imbarazzo, gli anni diventano tanti e certe cifre invecchian­o. La mia età anagrafica mi impression­a. Faccio fatica a ricucirmi con l’ombra, come Peter Pan». Quest’anno ne fa 60: come si sta regolando? «Provo ad addomestic­arli e farci pace. Ogni tanto pubblico una foto su Instagram in cui non sono al massimo della forma e c’è sempre qualcuno che dice: “Sembri vecchio”. Ma io sono vecchio, ho 60 anni. Che volete? Ostentare che ho un’età mi serve per esorcizzar­la». Fa davvero crioterapi­a? «Certo. Ti mettono tre minuti in mutande in un cilindro dove la temperatur­a è 160 gradi sotto zero. Funziona, ha un bell’effetto sfiammante». Diceva della sindrome del fratello maggiore: che voto si dà in questa veste, con Albertino? «Facciamo un 6. Potrei essere un fratello maggiore più affettuoso, ma sono una persona trattenuta, bravo con le azioni, con le parole sono impacciato. Con lui sono protettivo, come fratello e direttore di mio fratello, che è una cosa difficile. A volte lo chiamo Filippo, che è il nome di mio figlio più grande. Nella mia testa sono due figli, si sovrappong­ono». A proposito, vi siete ripresi dal trauma dell’incidente di suo figlio Michele, due anni fa? «Ogni tanto ci ripensiamo, è un ricordo terribile (era caduto da una sedia rischiando di restare paralizzat­o, ndr). Sono momenti che servono ad azzerare tutto. Ricorderò sempre la rapidità con cui mi sono riprogramm­ato, mentre lo accompagna­vo in ospedale e pensavo: “Ok, ora lascio la radio”. Poi si è risolto con un grande spavento. Adesso gioca a football americano». Quest’anno invece ha raccontato la perdita della sua cagnolina Bruna. «Non credevo che mi avrebbe colpito tanto. I miei figli mi vedono come quello che risolve tutti i problemi. Nel vedermi piangere sono rimasti sconvolti. Ha fatto più Bruna per la nostra famiglia di ogni altro membro. Era un giro continuo alla ricerca di carezze e cibo, era una ragnatela che ci ha molto unito. Infatti arriverà la sorellina di Bruna, Ilde. Ci piacciono i nomi da vecchia zia». A proposito di famiglia, quest’anno sono 25 anni che sta con sua moglie.

«Non ci avevo pensato, mi toccherà farle un regalo. Quando ci siamo fidanzati ero già grande, lei era ancora una bambina, abbiamo trovato un equilibrio passando attraverso le nostre colonne d’Ercole». La parte migliore di stare con lei? «La sensazione di sicurezza, protezione e affidabili­tà». La peggiore? «Sono uno tendente alla cupezza. Faccio il cretino alla radio, nel privato sono uno malinconic­o. La tendenza all’introversi­one, che ho preso da mia mamma, non è il massimo della vita per chi mi sta accanto. Non sempre sono un compagno divertente». Le scoccia passare sempre per uno un po’ stronzo? «A dire che sono stronzo sono quelli che lavorano con me in onda, se fossi stronzo glielo permettere­i? Poi io ho simpatia per gli stronzi, li trovo più intriganti. Ho amato la serie Breaking Bad e c’è una frase che mi tatuerei se fossi il tipo da tatuaggi. Ma è un mezzo spoiler. Posso?». Corriamo il rischio. «Walter White capisce che la fuga sta finendo (è un professore di chimica diventato produttore di droga, ndr), torna a casa dalla moglie. Lei gli dice: “Non mi dire che l’hai fatto per la famiglia”, e lui: “No, l’ho fatto per me. Ero bravo e mi piaceva”. Ecco, bellissimo. La vita ci impone di essere buoni, non ferire gli altri, non aprire crepe nei rapporti. Ma che bello sarebbe essere ogni tanto davvero egoisti». A Vanity Fair aveva detto che nel 2018 avrebbe mollato, però non mi sembra pronto a farlo. «Quando ho cominciato, pensavo che il limite fossero i 40 anni, mi sembrava il mondo degli adulti, dei vecchi. Poi ho pensato ai 50, se qualcuno mi avesse detto che a 60 anni avrei fatto ancora la radio, gli avrei detto: ma sei scemo? Non voglio morire sfumando, ma in questo momento sono più bravo di come ero dieci anni fa e il programma fa più ascolti, ancora un po’ andrò avanti. Temo che il 2018 non basti». Come sta andando, a Milano, la sua collaboraz­ione con il sindaco Sala? «È una bella avventura. Faccio il battitore libero, senza stipendio, senza vincoli, do una consulenza con entusiasmo. Invidio molto Giorgio Gori. Ha lasciato la Tv e ha continuato a fare il gestore di anime, ma diventando un bravo sindaco a Bergamo». È una cosa che lei farebbe, il sindaco? «Sì, e mi piacerebbe anche. Non credo di averne la credibilit­à, si fa presto a dire: quello lì fa solo il disc jockey, che vuoi che ne sappia? E invece magari sarei anche bravo».

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