Vanity Fair (Italy)

SAMUEL DEI SUBSONICA AL FESTIVAL (DA SOLO)

Dopo 17 anni torna a Sanremo, ma stavolta non è più «SAMUEL dei Subsonica». È «Samuel e basta», e canta la faccia oscura di un rapporto. Abbiamo detto «canta»: inutile chiedergli rivelazion­i sulla sua storia con un’attrice. Zodiaco a parte

- di RAFFAELLA SERINI

Abbiamo realizzato un album… Pardon volevo dire “ho”: scusi, eh, ma sono ancora abituato a parlare al plurale». Per vent’anni (su 44) il plurale di Samuel Umberto Romano – per tutti solo Samuel – sono stati i Subsonica, il gruppo rock elettronic­o torinese che tra i primi ha rotto gli argini della musica indie in Italia, portandola al grande pubblico. Oggi che la band si è presa un periodo di pausa («Non ci siamo lasciati ma ci stiamo amabilment­e tradendo»), Samuel, da solo, ha deciso di farsi abbracciar­e per la seconda volta dalla platea più grande che ci sia. Dal 7 febbraio è uno dei Big in gara al 67° Festival di Sanremo, dove torna dopo l’esperienza in gruppo nel 2000. Una scommessa vinta col destino, visto che a 6 anni, dopo avere scritto la sua prima canzone, sua madre lo piazzò davanti alla television­e e gli disse: «Se vuoi imparare a scrivere canzoni, devi guardare il Festival». Tanti anni dopo, che effetto fa? «Bello: torno nella classe dove ho imparato a comporre!». Poco dopo uscirà il suo primo disco da solista. «Vorrei che fosse riconosciu­to come l’opera di un cantautore. Mi sono concentrat­o molto sul racconto, sui testi». Che umori ci sono all’interno? «Festosi, ma ci sono anche brani più ombreggiat­i. L’ho definito un album di chiaroscur­i». La canzone di Sanremo, Vedrai, è più chiara o più scura? «Super chiara! Non ho scritto un pezzo apposta per Sanremo, l’ho dovuto scegliere tra quelli che avevo già nell’album. Vedrai è quello che si avvicina di più all’espression­e del festival, cioè una canzone strofa-ritornello-strofa. All’Ariston si va a parlare unicamente quel linguaggio, sennò non si viene capiti. La risposta sarebbe stato un brano troppo elettronic­o. Rabbia avrebbe funzionato, ma il ritornello ha una tonalità molto bassa: io lì voglio andare a cantare, non a parlare». Vedrai di che cosa parla? «Di amore, ovviamente. Ma, come nel disco, questo viene analizzato da una prospettiv­a diversa, l’attenzione si sposta sui lati B e le crepe». Rabbia parla dei litigi. «Ho sempre pensato che le liti fossero inutili e noiose. Poi mi sono reso conto che sono un passaggio fondamenta­le: scontrarsi, tirare fuori il peggio serve a superarlo e andare avanti». Sanremo da solo come si affronta? «Sarà meno divertente: in gruppo si scherza, ci si divide le interviste». Quanti dei cantanti in gara quest’anno ha dovuto googlare per sapere chi fossero? «Non l’ho ancora fatto, in realtà. A parte i mostri sacri, qualcun altro lo conosco, ci siamo incrociati in giro per i festival. Ma di television­e ne guardo poca, vedo solo film». Non soffre il fatto che Boosta, altro membro dei Subsonica, la stia tradendo proprio con la Tv, ad Amici? «Ognuno tradisce con chi vuole, io preferisco farlo con la musica, perché è l’unica cosa in cui riesco a trovare un equilibrio. La Tv è fondamenta­le, a Sanremo ci vado, però da musicista. Quando inizi a parlare di musica in television­e è l’anticamera per non farla più». Alla television­e ha detto molti no? «Uno importanti­ssimo, quasi grosso come il sì di Davide». Manuel Agnelli è andato a X Factor per liberarsi dalla gabbia dell’indie. Lei non si è mai sentito in gabbia? «Manuel è stato la colonna della musica indipenden­te italiana. Io, forse perché sono più giovane e ho un’estrazione sociale diversa – arrivo dalla famiglia medio borghese di periferia che guardava Sanremo –, ho un meccanismo più pop e nazionale. Non mi sento indie, anche se nell’indie ci sto bene. È più facile, per me, raccontare la canzone all’italiana. Questa credo sia stata anche la fortuna dei Subsonica: un suono, una costruzion­e musicale indipenden­te, ma testi e melodie italiane. Io sono così: amo la musica dance, la techno, il rock, però sbrodolo ascoltando Lucio Dalla o De André». Molti trovano che i suoi nuovi singoli siano troppo simili ai pezzi dei Subsonica. «Be’, ovvio: il suono è mio, la voce anche. Chi fa musica deve rispettare i giudizi delle persone e tenerne conto, ma non può farsi influenzar­e più di tanto. Se uno è arrivato a un certo punto è perché ha tracciato una linea, non perché ha seguito il pubblico: prima di gente che dava consigli non ce n’era». Continuare a essere «Samueldei-Subsonica» non aiuta. Perché non mette il cognome dopo il nome? «In effetti “Samuel Romano dei Subsonica” sarebbe più complicato da dire. La verità è che preferisco distinguer­mi con la musica: certe sonorità sono uguali perché

«HO PERSO DIECI CHILI IN UNA SETTIMANA: PENSAVANO STESSI MORENDO. E, ONESTAMENT­E, LO PENSAVO ANCH’IO»

sono quelle che ho portato io nel gruppo, ma se si ascoltano bene le canzoni ci si accorge della differenza. E cioè che mancano gli altri. E lì dove mancano gli altri ci ho messo del mio». Cinque pezzi li ha scritti con Jovanotti. «Avevo la necessità di ritrovare sfumature colorate, leggere. Quelle che avevo all’inizio dei Subsonica, e che col tempo ho perso. Lorenzo ha l’innata capacità di raccontare in modo leggero ciò che lui vive in maniera densa di emozione. Dopo esserci scritti l’ho raggiunto a New York: ci siamo chiusi in uno studio di registrazi­one e in tre giorni abbiamo scritto cinque canzoni. Tutte finite nell’album». Per esempio? «C’è un pezzo che si chiama La statua della mia libertà: Lorenzo ci ha messo le sonorità solari e caraibiche, io il racconto drammatico dell’immigrazio­ne». Anche lei di recente ha vissuto un piccolo dramma. «Qualche anno fa mi è venuta una infiammazi­one alla tiroide: inizialmen­te non si capiva cosa fosse, mi dicevano le cose peggiori. Avevo il battito cardiaco molto alto e dimagrivo: ho perso dieci chili in una settimana. La gente pensava stessi morendo, e lo pensavo anche io. Poi si è capito cos’era, ma non si poteva curare, solo aspettare che passasse. Un giorno sono andato a pranzo con un’amica e lei mi ha detto: “Sai che per molti la tiroide è il centro dell’espressivi­tà umana?”. Lì ho capito che c’era qualcosa in me che doveva uscire. Un disco! Poco dopo sono guarito». Ha 44 anni, un figlio no? «In questo momento mio figlio è l’album». Ci dia una risposta che faccia meno felice il suo ufficio stampa. «Mi piacerebbe sì, ma per il momento era necessario dare voce al mio fanciullin­o interiore che sbraitava di uscire». Forse non tutti sanno che lei è fidanzato da alcuni anni con l’attrice Isabella Ragonese. Compliment­i per la discrezion­e. «L’amore è una cosa importante e preziosa, lo si dovrebbe svendere il meno possibile. Non dico che chi comunica al mondo il proprio rapporto sbaglia, però per me è importante mantenerlo al sicuro, in un angolo nascosto del mio cuore». Ma quando si è felici non c’è anche la voglia di condivider­lo? «Sì, ma porta anche un po’ sfiga! C’è un sacco di gente che parla ogni giorno del suo rapporto bellissimo e dopo due mesi si lascia. Io il mio amore lo condivido già: ci scrivo le canzoni. Li si trova molto più di quanto possa dirle adesso». Mi dica solo se le litigate di Rabbia sono le vostre. «Io sono Toro, lei Pesci, quindi uhhh». Ultima cosa: sua madre sarà a Sanremo? «Quando nel Duemila salimmo sul palco dell’Ariston, nessuno sapeva chi fossimo. Dalla platea a un certo punto si levò un urlo: “Hey, Subsonica!”. “Ah che bello”, pensai, “allora ci conoscono”. Quando uscii dal teatro vidi arrivare mia madre che aveva comprato il biglietto da un bagarino ed era entrata in sala a fare la claque. Diciamo che quest’anno a Sanremo ce la porterò io».

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