Dentro la scatola nera
L’americana SARAH MANGUSO parla di sé (e di tutti)
Come si sopravvive al suicidio del migliore amico? L’americana Sarah Manguso, 42 anni, ha scritto Il salto (NN, pagg. 110, € 16; traduzione di Gioia Guerzoni) perché «è impossibile non cercare di entrare nella scatola nera di una mente abbandonata a se stessa». «Il salto» è quello che Harris fece sui binari di una stazione di New York, ma anche quello di decine di persone che, l’11 settembre 2001, preferirono la disperazione di un volo a una fine più incerta. «Harris aveva suonato alla mia porta subito dopo che gli aerei avevano colpito le Torri. Abitavamo a Brooklyn, vicino all’East River, siamo andati sulla riva. La prima torre era una torcia, poi davanti a noi è crollata. Ogni mio ricordo di quel giorno è legato a lui». Parlare di suicidio non è un tabù: «Tra i miei amici è normale. Esserci stati vicini fa un po’ parte dell’essere un certo tipo di artista». Sarah Manguso, cognome italiano (di Roma ha un ricordo positivo, le caramelle lacrime d’amore della Confetteria Moriondo e Gariglio), ha sempre e solo scritto di se stessa («voglio sapere del mio dolore, che è inconoscibile, come quello di tutti», si legge nel Salto) e, assieme ad autori come Maggie Nelson e Leslie Jamison, sta rimodellando il saggio contemporaneo (un mix di memoir, critica, citazioni). C’è qualcosa di cui non parlerebbe mai? «Sì, ma ora ci sto scrivendo su un libro. Si tratta dei miei anni a Boston, dove sono cresciuta, e il particolare razzismo che riguarda l’essere bianchi in quella città».