DUE GIRAFFE, UNA PACE
Al Middle East Now di Firenze arriva la storia degli esemplari diventati simbolo della cooperazione (possibile) tra palestinesi e israeliani
oi non siete la pattumiera di Israele, avete il diritto di dire di no se vi offrono animali vecchi e malati». Siamo a Qalqilya, cittadina palestinese della Cisgiordania una volta prospera grazie all’agricoltura e, dal 2003, stritolata dal Muro di separazione tirato su dal governo israeliano per contrastare la Seconda Intifada, iniziata nel 2000 e conclusa nel 2005. Le terre sono nite al di là della Linea verde e gli abitanti sono rimasti imprigionati dall’altra parte senza poter coltivare più nulla. A parlare, però, non è un attivista della causa palestinese, ma Shai Doron, cittadino ebreo e direttore dello zoo di Gerusalemme in visita di cortesia al collega Sami Khader, il solo veterinario della Cisgiordania specializzato in animali selvatici e alla guida dello zoo cittadino, l’unico di tutta la Palestina. Fondato da un gruppo di esperti israeliani nel 1986, quando la situazione era molto meno tesa, lo zoo è sempre rimasto aperto grazie alla grande passione per gli animali del dottor Sami e dell’uomo che gli ha trasmesso tutto il suo sapere, il dottor Motke Levison, ebreo olandese, suo amico fraterno morto nel 2015. Quello che sembra impossibile leggendo i titoli delle notizie, a Qalqilya è realtà: israeliani e palestinesi si incontrano, si abbracciano, lavorano insieme per un obiettivo comune, far crescere lo zoo cittadino e riportare al suo interno le girae, mai più rimpiazzate dopo che gli ultimi due esemplari, Browne e Rutie, erano morti nel 2005, in seguito a un attacco delle forze israeliane. E proprio questa è la storia raccontata dal regista italiano Marco De Stefanis, arrivato in città nel 2010 per conoscere Khader e poi tornato nel 2015 per girare il documentario Waiting for Gira es, presentato al Middle East Now, ottava edizione del festival di cinema e
Vcultura contemporanea tra Medio Oriente e Nord Africa, organizzato dall’associazione no pro t Map of Creation (dal 4 al 9 aprile a Firenze, middleastnow.it). «Lo zoo è molto frequentato dagli abitanti della zona perché è l’unica attrazione che hanno a disposizione, e la storia delle girae ha ormai assunto contorni quasi leggendari», spiega De Stefanis. Acquistate nel 1990, Browne e Rutie erano una coppia arrivata dal Sudafrica e accolta dalla gente del posto come una specie di divinità. Di preciso nessuno sa come siano andate le cose: in città circolano tantissime storie sulla loro ne, durante un attacco israeliano notturno nel 2005. La versione più accreditata parla del maschio che, spaventato dai colpi, si agitò e sbattendo la testa cadde a terra. Le giraffe non possono passare troppo tempo sdraiate perché lo scompenso di pressione sanguigna fa esplodere il cervello. Così, all’arrivo dei guardiani la mattina seguente, non c’era ormai più nulla da fare. La compagna, nel frattempo, abortì per la paura e si lasciò morire di stenti perché non sopportava la solitudine, le girae sono fortemente sociali. I due animali diventarono così martiri della causa palestinese e il dottor Sami decise di imbalsamarle per poterle in qualche modo mantenere all’interno dello zoo. Khader capì anche che l’unico modo per avere nuovi esemplari vivi era entrare a far parte di Eaza, l’organismo fondato nel 1992 con l’obiettivo di facilitare la cooperazione tra zoo e acquari europei. Grazie al supporto dei colleghi israeliani ci riuscì e si mise subito all’opera sulla «questione girae». Ma per scoprire se, in ne, sono davvero ritornate a Qalqilya, l’appuntamento è a Firenze, al cinema, il 9 aprile.