Vanity Fair (Italy)

VI SEMBRA UN IMAM?

SHERIN KHANKAN è la donna che, con un approccio aperto e dialogante, sta cercando di cambiare l’«interpreta­zione patriarcal­e» dell’Islam. Anche per non dover più consolare sua iglia

- Di MONICA COVIELLO

Sherin Khankan non è l’imam che ci si aspetta. È donna, è danese, ha 42 anni. Da uno, guida la preghiera islamica nella moschea Mariam di Copenaghen. In realtà, non è l’unica donna a rivestire questa carica: in Italia, da cinque anni, c’è la siriana Nibras Breigheche. A Berlino e ad Amsterdam, due moschee sono riservate alle fedeli. In Cina, nella comunità musulmana Hui, le imam donne predicano da 300 anni, e in Sudafrica dal 1995. Sherin, però, è una donna occidental­e che vuole sfidare l’«interpreta­zione patriarcal­e» dell’Islam. È Œglia di due culture: sua madre è un’infermiera Œnlandese e suo padre un ex dissidente siriano fuggito al Nord negli anni Sessanta. La incontriam­o a Torino: per la Biennale della Democrazia, il 2 aprile è stata invitata a parlare di Donne e religioni: emancipazi­one e oppression­e. Porta una gonna rosso ciliegia a vita alta, lunga Œno al ginocchio, e sneakers nere. Ha capelli castani, lisci, che le arrivano a metà schiena. Lei non porta il velo. «Sì, eccolo (indica la sciarpa trasparent­e che le copre le spalle). Non indosso l’hijab, che è una metafora della sincerità, un segno della semplicità. Ogni donna può interpreta­rlo in modo dižerente, non solo portando il velo: nella nostra moschea, alcune lo usano, altre no. Siamo uno spaccato di una realtà più ampia. E difendiamo qualsiasi scelta». Gli uomini musulmani come la giudicano? «Nessuno degli imam maschi di Copenaghen si è congratula­to con noi, nessuno ha visitato la nostra moschea. Alcuni sono sospettosi, ma molti rimangono in silenzio perché, a livello teologico, siamo su un terreno sicuro. E il primo a incoraggia­rmi è stato mio padre, un grande femminista». Lei è madre di quattro bambini: e se da adulti non fossero interessat­i alla sua religione? «La fede viene da dentro, non si può imporre. Voglio trasmetter­e il mio amore, non il mio pensiero. Come ha fatto mia madre con me: lei era cristiana, io musulmana. Mia nonna diceva sempre: “Bisogna crescere i Œgli senza allevarli”. Ossia ognuno, diventando adulto, deve imparare da solo ciò che gli serve». I suoi bambini come vivono il fatto di avere una mamma imam? «La più piccola ha 5 anni. Un’amica le ha chiesto che cos’è una imam. Lei ha risposto, orgogliosi­ssima: “È una donna che fa cose molto importanti”. La più grande, invece, mi ha detto: “Non potevi essere una mamma normale?”. È un grande cambiament­o, e non mi illudo che per loro sia sempre facile viverlo». Come ha spiegato ai suoi figli gli attentati terroristi­ci? «La più grande dopo l’attacco in Francia era depressa e confusa. È l’unica musulmana nella sua classe e si sentiva quasi responsabi­le. Ma la sua insegnante ha spiegato a tutti i compagni che il terrorismo non ha nazionalit­à, né religione, né nome. Io ho fatto lo stesso. Lei ha assimilato la nostra spiegazion­e razionale, dentro però è ancora triste. Pensa che la gente la guardi male e io sto cercando di renderla più forte, perché la realtà in cui viviamo è islamofobi­ca. Prenda i divieti di Trump: mio padre, un siriano, non può andare a San Francisco a trovare mia sorella». A Bologna, a una quattordic­enne che non voleva portare il velo, i genitori hanno rasato i capelli. «È violenza, Œsica e mentale. Ma non avevo mai sentito niente del genere prima d’ora». A Berlino, alcuni genitori musulmani hanno chiesto di cacciare, dalla scuola frequentat­a dai gli, un insegnante gay. «Ancora violenza e ignoranza. Non ci si dovrebbe interessar­e della sessualità degli altri: è una questione molto personale». Si è mai sentita vittima di preconcett­i? «Non le racconterò nessun episodio perché io non voglio focalizzar­mi sulle di˜coltà. Però sì, mi capita molto spesso. Anche ora».

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