E LE VERITÀ
ella mia cameretta, da ragazza, avevo appeso un cartellone con stampata la famosa frase di Wittgenstein, «Su ciò di cui non si può parlare si deve tacere»: per come la capivo io (è tuttora interpretata in diversi modi), era de nitiva sui temi della loso a. Nella storia della ragazzina quattordicenne di famiglia bengalese alla quale a Bologna avrebbero rasato i capelli perché non voleva indossare il velo, ci sono molti spunti di riessione, al di là di come stiano veramente i fatti di cui si sta occupando la magistratura.
In una versione della storia, la prima che abbiamo letto, la ragazza sarebbe stata rasata dalla madre per punizione. A scuola la ragazzina si sarebbe con data con le insegnanti, che hanno avvisato la preside, la quale ha chiamato i carabinieri, che a loro volta hanno avvertito i servizi sociali, i quali l’hanno allontanata dalla famiglia. Quel che è certo è che la madre la mattina ha accompagnato la glia a scuola e poi non l’ha più vista. In un’altra versione della storia, i familiari dicono che la ragazza si era tagliata da sola due ciocche perché aveva i pidocchi, e a quel punto la madre l’avrebbe rasata per risolvere il problema. La sorella sedicenne sostiene che «da loro è normale e si fa per rinforzare i capelli, e che nessuno l’aveva obbligata». Poi però a scuola l’avrebbero presa in giro e la ragazza si sarebbe inventata la storia del velo imposto. Il padre e la madre sostengono di non averla forzata, e si disperano. Alla domanda: «Che cosa desidera per il futuro di sua glia?», la madre ha risposto: «Come tutti i genitori, che diventi dottore, o ingegnere». Non esattamente una risposta da talebani.
Entrambe le versioni sono credibili. In una c’è un particolare che colpisce per il suo realismo: i pidocchi. Che infestano quasi tutte le scuole e spesso sono circondati da un’aura di ansie e di vergogna. Nell’altra c’è il tema religioso. Ricordiamoci che ci sono state ragazze uccise, in Italia, perché in famiglia non erano reputate buone musulmane. Dove sta quindi la verità? È possibile che non stia in nessuna delle due versioni, ma che ci sia un po’ di verità in ognuna. La madre della ragazza preferiva che lei portasse il velo, e le chiedeva di farlo (come io dico a mia glia di mettersi gli occhiali a scuola?), ma la ragazzina spesso a scuola il velo lo toglieva (così come mia glia un sacco di volte non mette gli occhiali?). Genitori e gli hanno spesso idee diverse, ma chi dice che non sia un’imposizione anche insistere che i gli indossino la canottiera? È comprensibile che in famiglia ci siano screzi o incomprensioni tra gli e genitori, e che questi screzi possano venire vissuti dai gli molto più drammaticamente e dolorosamente di quanto i genitori immaginano. Il discrimine è la violenza, quella è inaccettabile, mentre avere idee diverse, e anche conitti, è inevitabile, coi gli adolescenti. Per una ragazza di 14 anni rasarsi i capelli è sicuramente un trauma. La mamma, credendo che fuori di casa portasse il velo, non ha immaginato quanto?
In questa storia potrebbe non esserci una sola verità. Lo capirà la magistratura. Quello che non riesco a capire è a chi giova che questa vicenda sia stata resa pubblica prima di aver stabilito quale sia, questa verità. Perché è una storia che si presta a essere strumentalizzata. Anche se Wittgenstein quando ha scritto il Tractatus non pensava certo ai media ma ai mondi della logica, la frase che mi aveva tanto colpito da ragazza rimane nei miei pensieri. Ci sono verità plausibili, comode, scomode, credibili e incredibili. Ma sono sempre sfumate, complesse, spezzettate, fatte di tanti elementi a volte contrastanti tra di loro. Che non sempre corrispondono a una logica uida e orizzontale. Gli scrittori lo sanno, e anche i magistrati, speriamo. I giornalisti a volte se ne dimenticano.