I SOGNI POI SI REALIZZANO
MI ASPETTAVO QUESTA VITA, LA IMMAGINAVO NEI DETTAGLI. E, QUANDO SOGNI FORTE,
i sono dettagli che in un istante ti svelano il segreto di una carriera quarantennale, cento milioni di dischi venduti e sedici Grammy. Dopo esserci salutati alla ne dell’intervista, Sting mi rincorre fuori dal camerino e pronuncia una frase: «Si ferma, vero, per il concerto? Perché, mi creda, suoniamo in maniera un po’ più professionale di quanto ha sentito nelle prove». Dettagli come questo. Se non fosse così – così attento, così perfezionista – Sting a 65 anni non sarebbe in grado di far ballare tremila persone non proprio ventenni per due ore, come è successo al Fabrique di Milano due settimane fa. Qualche ora prima del concerto mi ero presentata all’intervista con – confesso – un pensiero sso: indosserà ancora la sua leggendaria maglietta attillata a maniche corte, oppure, vista l’età e l’allure da signore distinto, avrà deciso che è giunto il momento di coprire le braccia? Entro di pomeriggio nel locale ancora deserto e me lo trovo sul palco intento a fare il soundcheck. In maglietta: no, quel momento non è ancora arrivato. Sting è in Italia per il tour legato al suo ultimo album, che si chiama come un incrocio (57th & 9th), quello da cui passa tutte le mattine per andare allo studio di registrazione dalla sua casa nell’Upper West Side di Manhattan, a New York. Prima di diventare un «Englishman in New York», per citare una delle sue canzoni più celebri, si chiamava solo Gordon Sumner e sembrava destinato a una vita ordinaria: le origini umili a Wallsend, in Inghilterra, madre parrucchiera e papà lattaio, poi i lavori come autista di bus, operaio e insegnante. Fino alla svolta con i Police, nati esattamente quarant’anni fa, ed entrati nella storia della musica in soli sette di attività. La carriera post Police è quella di un ranato cantautore solista, ma sono anche gli anni in cui diventa paladino dei diritti umani e delle cause ambientali (ha fondato la Rainforest Foundation per la salvaguardia delle foreste pluviali). E anche fan dell’Italia, dove compra il Palagio, l’immensa tenuta in Toscana con tanto di vigneti. La vita familiare non è meno impegnativa. È padre di sei gli: Joe e Kate, dal primo matrimonio con Frances Tomelty; e quattro, i maschi Jake e Giacomo, e le ragazze Eliot e Mickey, da Trudie Styler, con cui ad agosto festeggia le nozze d’argento. Lui, di anni, ne dimostra venti di meno. Sarà per lo yoga, il famoso sesso tantrico con la moglie, il nuoto, la sua loso a di vita, insomma tutti i dettagli che formano la leggenda di Sting. Una leggenda new age che mai avrebbe fatto presagire un disco come questo, molto più vicino ai suoni rock della sua giovinezza. «Chi si aspettava dei liuti è rimasto sorpreso», ha scherzato lui stesso all’uscita dell’album. I temi delle canzoni restano però impegnati: immigrazione, ambiente, terrorismo. Ci accomodiamo nel suo camerino orientaleggiante. Divanetto e pareti nere, musica in sottofondo, essenze: la scenogra a di un ambiente rilassante. Lui ha gli occhi che ridono, mentre beve da un bicchierino minuscolo un misterioso liquido ambrato. Questo disco ci riporta alle sonorità rock dei Police. Nostalgia? «Nella musica quello che conta è sorprendere, se lo fai di solito hai successo. Mi diverte moltissimo stupire le persone, dal punto di vista creativo. Nella vita invece non amo le sorprese». New York è molto presente in questo disco. Quanto inglese si sente ancora? «Vivo a New York da quarant’anni e la considero casa mia: lì sono cresciuti i miei
gli. Da ragazzo sognavo l’America e New York rappresenta il sogno all’ennesima potenza, con la sua architettura spettacolare, i suoi stimoli. La vivo come un cittadino normale, vado a piedi dappertutto, senza limousine né guardie del corpo, e ogni mattina incontro persone che mi salutano, mi parlano della mia musica, mi fanno sentire parte della città». Molti la considerano una città per giovani. «Perché è un centro vibrante di creatività, anche se ora i giovani artisti si sono spostati a Brooklyn perché i prezzi delle case a Manhattan sono folli. Io sono ancora innamorato di New York». Non ha mai pensato di lasciare l’America dopo l’elezione di Trump? «New York non è l’America di Trump, e io dico sempre che è un’isola davanti alle coste americane. Non conosco nessuno lì che lo abbia votato. Forse qualche russo». Se le avessero detto che un giorno il Paese in cui vive sarebbe stato governato da Trump? «Non ci avrei mai creduto. Ma in Italia qualcuno avrebbe potuto predire Berlusconi? Viviamo in un’epoca di grandi cambiamenti e l’importante è salvaguardare la democrazia. Le leggi hanno questo compito, la