Vanity Fair (Italy)

ALLONTANAT­O DA SCUOLA

ERO UN RIBELLE, MI BATTEVO PER ESPRIMERMI. MA GLI INSEGNANTI NON APPREZZAVA­NO, MI HANNO

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isura a grandi passi la stanza del lussuoso hotel londinese in cui è con nato da alcune ore. Si capisce benissimo che vorrebbe essere altrove. Sembra un felino feroce strappato dalla savana e portato allo zoo. Ma Hollywood, forse, val bene il lasciarsi addomestic­are. Così, Charlie Hunnam, 37 anni il 10 aprile, nisce di girare intorno alla sedia damascata gialla e ci si siede, con tanto di sorriso smagliante, pronto a rispondere. Non può far altro, questa è la promozione di King Arthur - Il potere della spada, il lm diretto da Guy Ritchie che rinnova il mito della saga ambientata nell’Alto Medioevo, già più volte arrivata al cinema. Nella versione 2017 Re Artù agisce a ritmo forsennato, in un immaginari­o tra Trono di Spade, Revenant e un pizzico di humour alla Ocean’s Eleven, però ambientato tra i cavalieri della Tavola rotonda nell’antica Londinium, la Londra così battezzata dai Romani. Nella storia, Re Artù scopre di essere tale quando estrae la spada dalla roccia, prima è un trovatello cresciuto in un bordello-bisca. Quindi, Charlie Hunnam entra in scena a metà lm. E benché la prima parte sia dominata da un sublime Jude Law, che con la sua presenza da mattatore si mangia tutto l’ambaradan, Hunnam fa la sua bella gura. Intanto, ha una biogra a interessan­te. Figlio di madre single e di un padre che doveva essere un mezzo balordo che li ha abbandonat­i quando Charlie aveva appena due anni, cresciuto senza lussi, ha trovato pace e successo nella recitazion­e. Insomma, la risposta proletaria agli attori inglesi allevati come principini, stile Eddie Redmayne o Benedict Cumberbatc­h. Si è aermato grazie alla serie televisiva Sons of Anarchy, e dopo King Arthur (che esce l’11 maggio) lo vedremo in The Lost City of Z di James Gray, storia dell’esplorator­e Percy Fawcett che andò alla scoperta di una città perduta in Amazzonia, un ruolo che era stato pensato per Brad Pitt, e più avanti addirittur­a in Papillon, remake del lm del 1973 con Steve McQueen. Altolà! Prima di gridare all’eresia, incontriam­olo di persona questo Charlie Hunnam. Muscoloso, occhi chiarissim­i, è vestito in modo sportivo ma impeccabil­e, eppure ha qualcosa di disordinat­o e infantile, quasi poetico, che ti fa venire voglia di starlo ad ascoltare. C’è un dettaglio che me lo rende particolar­mente simpatico. Finora Charlie Hunnam è stato più famoso per una cosa che non ha fatto, rispetto a quelle che ha fatto: doveva essere Christian Grey in Cinquanta sfumature di grigio, ma abbandonò il progetto poco prima dell’inizio delle riprese. Glielo avranno chiesto un milione di volte. Perché? «E un milione di volte ho risposto la stessa cosa. Volevo fare quel lm, adoro Sam Taylor-Johnson, la regista, penso che sia un genio. Era una parte da protagonis­ta, il successo era annunciato, vista la popolarità del libro. Ma quando sono state ssate le date, mi sono accorto che per fare Cinquanta sfumature non avrei girato Crimson Peak di Guillermo del Toro, che è un mio amico e a cui avevo dato la mia parola un anno prima. Però, mi creda, non è stato facile. Quando ho dovuto dire a Sam che non avrei fatto il suo lm, mi veniva da piangere». Si è mai pentito di questa scelta? «No, neanche ci ho pensato. Per me era più importante mantenere la parola data». Che cos’è il potere, per un attore? «La verità? Quanti soldi fai guadagnare a chi produce i lm. Poi, se la tua faccia e il tuo nome fanno andare la gente al cinema, conquisti un pizzico di potere anche tu e questo ti dà il diritto di lavorare con registi sempre più bravi». Com’era da ragazzo? «Ribelle. Mi battevo per esprimermi. Ma gli insegnanti non sempre apprezzava­no. Una volta mi hanno gentilment­e allontanat­o da scuola, per dire». Che cosa aveva combinato? «Dovevamo andare in Italia, a Firenze, in gita scolastica, con l’insegnante di Storia dell’arte. I nostri genitori avevano anche già pagato per la gita quando il professore dice: “Io questi due pazzi a Firenze non li voglio”. E ci lascia lì, in punizione, con un supplente per una settimana. Per vendetta noi chiediamo al supplente, ignaro, di darci il permesso di usare certi colori acrilici che ci erano vietati perché di super qualità e più costosi. Con quelli, ho dipinto un gigantesco quadro che ra§gurava una lattina di Coca-Cola schiacciat­a. Al ritorno da Firenze, il professore si è accorto che

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