Vanity Fair (Italy)

E QUESTO MI FACEVA SOFFRIRE

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possono sostituire pezzi del nostro corpo, guarirci da malattie che no a pochi decenni fa potevano ucciderci li rende irresistib­ili ai miei occhi». Che cosa direbbe a chi, come lei, vive l’esperienza del cancro? «Di avere ducia. Ho vissuto la malattia in maniera passiva, sapevo che la mia vita dipendeva dalle cure ma anche dall’intuizione dei medici e dalle loro decisioni. Si guarisce sempre più spesso, come è successo a me, grazie a questi eroi del quotidiano, che combattono con ogni mezzo la guerra contro le malattie. La mia ammirazion­e per loro è scon nata e ce ne sono alcuni davvero speciali, come Pietro Bartolo, il medico dei migranti di Lampedusa, che ho visto in television­e quando è venuto a Parigi a presentare il

lm Fuocoammar­e. Scriva, la prego, che lo ringrazio a nome dell’umanità, per quello che sta facendo. Se vengo in Italia a fare concerti, saranno tutti dedicati a questo uomo coraggioso». Da quanti anni canta Gainsbourg? «Da almeno 50 (ride). Ha sempre scritto delle canzoni per me quando stavamo insieme, ma soprattutt­o dopo il 1980, quando ci siamo lasciati: sono le più profonde e so‰erte, molti dicono le più belle che siano mai state scritte in Francia. Parlano di dolore, di ferite profonde, di amori troppo di‹cili per essere vissuti. Lavorare insieme era una bellissima scusa per continuare a frequentar­ci». Vi amavate ancora? «Probabilme­nte sì. Ma non potevamo più stare insieme. La vita con lui era diventata impossibil­e». Stavate entrambi con altri partner, lei con Jacques Doillon e Serge con Bambou. Non erano gelosi di questo rapporto così intenso fra voi? «Jacques lavorava come un pazzo, faceva due lm all’anno, non aveva molto tempo per me, mentre Bambou (soprannome della modella francese Caroline Paulus, ndr) era una persona mite, che accettava tutto. anni Settanta. Che cosa le resta di quella vita di eccessi? «Eravamo totalmente liberi. Rientravam­o al mattino, quando le bambine si svegliavan­o per andare a scuola. Tutto era incredibil­mente intenso, un periodo che non si è mai più ripetuto. Oggi i ragazzi di vent’anni vivono in maniera molto diversa, e io non esco più. Ho talmente vissuto, in quel periodo, che non mi è più interessat­o vedere una discoteca, o un bar di notte». Eravate talmente belli e trasgressi­vi lei e Serge… «Eppure non mi piacevo, ero così insicura. Quando riascolto Je t’aime… moi non plus, sento di nuovo il disagio di quegli anni. Quella canzone esplosiva, che mi ha reso famosa nel mondo, non era stata scritta per me, ma per Brigitte Bardot, che aveva vissuto con Serge la storia di sesso più torrida che si possa immaginare. E questo mi faceva so‰rire. Ho cominciato ad amarmi e accettarmi dopo i 40 anni, un’età bellissima per le donne, forse la migliore». Le sue ƒglie, Charlotte e Lou, sono in quella fascia d’età. Come le vede? «Per me sono le persone più straordina­rie del mondo. Sono una madre senza pudore, nell’ammirazion­e della mia progenie. Penso che Charlotte sia l’attrice più talentuosa della sua generazion­e. Ha un fascino e un mistero che non niscono di stupirmi. Per non parlare di Lou, capace di scrivere e comporre canzoni di immensa bellezza. Hanno so‰erto così tanto per la morte di Kate. Erano cresciute insieme ed erano legatissim­e. Anche per loro è stato un duro colpo. Spero che l’avvenire ci riservi il meglio, perché il peggio lo abbiamo già vissuto».

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