DENTRO L’ACQUARIO
«Non credo che quello che succede nel mondo virtuale sia meno vero di quello che accade fuori. È solo nuovo, diverso. Mi impressiona quanto sorano oggi i ragazzini quando rompono le amicizie su Facebook. “Mi ha tolto l’amicizia” è forse più dicile da gestire del fatto di litigare con un amico in carne e ossa, magari urlare e non salutarsi più. Come scrittrice, è questo a interessarmi della tecnologia che, in sé, è vuota». Il narratore dice: «Noi creavamo queste realtà per gli altri e così perdevamo la nostra». Fa paura. «Certo, il potere che hanno queste aziende nelle nostre vite è immenso: basti pensare ai “ricordi” che Facebook ci confeziona e ci propina, e che niscono per sovrapporsi ai nostri ricordi veri». Siamo nell’era della post-verità. «Abbiamo superato l’epoca in cui credevamo nell’esistenza di un’unica verità. Ora ci troviamo in un momento di articolazione tra due bisogni contraddittori: da una parte vogliamo conoscere cosa si nasconde dietro alle cose, dall’altra, però, vogliamo averne la versione “buona”». Lizzie e Adrian vivono il loro amore soprattutto in chat. Hanno troppa paura del corpo a corpo? «Oggi si vive spesso davanti a uno schermo, da soli. Mi colpisce come i corpi, con la tecnologia, restino sempre fuori scena e il fatto che, ormai, esista un modo di costruire le relazioni che prescinde dai corpi». Come dice lei, anche i posti de niscono i modi in cui si costruiscono le relazioni. Tornando a Trieste, perché l’ha scelta? «Fa da specchio alle cose che scrivo e, in fondo, si scrive perché si vorrebbe che la realtà fosse diversa. È una città piena di contraddizioni. Il critico Bobi Bazlen disse: “Trieste è considerata un crogiolo di culture, ma non è vero. Crogiolo è quando le cose si fondono insieme. Invece qui è pieno di malintesi e cose cattive”. È anche la meno provinciale delle città italiane, così poco giudicante. A nessuno importa di come ti vesti, di quello che fai». Come a New York? «Sì. Ed essendo un posto marginale, è da lì che possono arrivare le cose nuove».