Orientalismi
Una collezionista instancabile crea pezzi unici ispirati dai suoi viaggi. Avete mai sentito parlare dell’osso di tricheco?
Una cava di giada nella regione cinese dello Yunnan, i vecchi giardini della Città Proibita di Pechino, dove no a prima del restauro c’erano ancora gli artigiani che lavoravano per la famiglia reale, o Bagan in Birmania. In questi luoghi Giulia Colussi (a destra, il suo atelier) va a scovare le materie prime per i suoi gioelli. «L’amore per l’Oriente nasce dalle letture della mia infanzia e adolescenza: miti e leggende cinesi pieni di draghi e i romanzi di Haruki Murakami. Quando ho potuto iniziare a viaggiare mi sono definitivamente innamorata di questi Paesi e ho cominciato a collezionare quello che di bello trovavo». Giulia è anche una gallerista, gira il mondo comprando e vendendo opere d’arte: cercare e trovare piccoli tesori fa parte del suo Dna. «La collezionista che è in me non riesce a trattenersi quando scova un oggetto interessante, ma quasi mai so dal principio come usarlo. Il processo creativo richiede un po’ di sedimentazione, in generale mi piace riutilizzare esemplari che inizialmente avevano altre destinazioni. Recupero spesso giade e smalti dai fermagli cinesi per i capelli che diventano piccoli pendenti per bracciali e collane. Da uno specchio del 1700 col manico di giada inciso ho ricavato una collana». Ogni gioiello è un pezzo unico, lavorato a mano assemblando materiali ricchi di storia, come l’osso di tricheco tinto. «Durante la dinastia Qing solo all’imperatore e alla sua famiglia era consentito indossare la giada, per questo i dignitari, che volevano imitarne i costumi, usavano al suo posto l’osso colorato». La produzione di Giulia è esclusiva, ogni anno realizza intorno ai trenta-quaranta pezzi. Il lavoro che c’è dietro a ogni creazione è immenso, perché ha origine molto prima della manifattura vera e propria. «La regola numero uno è quella di non percorrere rotte note. Oggi il mondo è globale ed è sempre più difficile trovare oggetti particolari muovendosi per itinerari turistici. E poi bisogna studiare prima: fare una ricerca storica e rendersi conto delle influenze artistiche e culturali sull’artigianato locale».