SPAGNA DA COPIARE?
Molti economisti parlano della «remuntada» di Madrid: dopo la crisi, gli spagnoli si sarebbero ripresi, noi italiani no. È vero, in parte, ma il confronto non regge
La Spagna dà lezioni di economia. Dall’alto di un Pil che anche nel 2017 dovrebbe aumentare del 3 per cento: sarebbe il terzo anno di la (mentre il nostro, bene che va, sforerà di poco l’1 per cento). Tanto che l’Economist, il prestigioso settimanale inglese, ha appena eletto il Paese iberico a modello da seguire, suggerendo a Italia e Grecia di prendere quanto prima esempio da Madrid. Ma per Alberto Mingardi, direttore dell’Istituto Bruno Leoni, il think tank liberale da sempre severo con il nostro Paese per i ritardi accumulati, non è tutto oro ciò che è spagnolo. «La disoccupazione giovanile lì resta molto elevata, al 41,5 per cento contro il 35 per cento italiano, ed è ancora troppo presto per dire che il peggio è passato. Va detto però che da loro c’è stato un impulso riformista più solido». Già, le riforme: tra quelle che in Italia ancora oggi mancano all’appello quali ritiene più urgenti? «Per prima cosa bisogna ridurre la pressione scale, con un taglio lineare per tutti, senza fare debito, ma abbattendo proporzionalmente la spesa pubblica. Questo sì che equivarrebbe a un cambio di passo». E il Jobs Act? La riforma del lavoro spagnola ha qualcosa in più della nostra? «Le due riforme si assomigliano, entrambe hanno puntato su incentivi di carattere monetario per far ripartire le assunzioni e hanno ridotto nel contempo il costo dei licenziamenti. C’è una dierenza però che conta più delle similitudini: in Spagna grazie alla contrattazione aziendale è possibile rinegoziare il salario, mentre in Italia i contratti nazionali funzionano come dei “minimi”». Quali altre dierenze si riscontrano tra Italia e Spagna? «Nonostante vengano spesso paragonati, va ricordato che sono Paesi simili sotto il prolo culturale ma con una storia molto diversa. La Spagna è uscita dalla dittatura franchista negli anni Settanta e nel 1986 è entrata nell’allora Comunità europea: le sue istituzioni liberal-democratiche sono di più recente formazione. La crisi spagnola aondava poi le sue radici nell’espansione immobiliare, mentre quella italiana nella perdita di credibilità del Paese dinanzi ai suoi creditori. Da noi la situazione del sistema bancario rimane precaria. Madrid al contrario ha usato in passato il fondo salva-Stati dell’Ue per ripulire i bilanci degli istituti di credito». E quindi? «In Spagna ha senz’altro pagato la determinazione di Mariano Rajoy. Qui invece navighiamo a vista ed è dicile fare previsioni, viste l’ascesa dei Cinquestelle e la crisi dei vecchi partiti. Il SuperIndice del nostro istituto, una specie di “aggregatore” di dati macro-economici, ci dice che siamo su una traiettoria di divergenza dagli altri Paesi europei, proprio come era avvenuto negli anni che hanno preceduto lo scoppio della crisi nel 2011. Forse avremmo fatto meglio a imparare la lezione, anziché puntare i pugni in Europa e dare la colpa all’euro e ai tedeschi».