Vanity Fair (Italy)

SPAGNA DA COPIARE?

Molti economisti parlano della «remuntada» di Madrid: dopo la crisi, gli spagnoli si sarebbero ripresi, noi italiani no. È vero, in parte, ma il confronto non regge

- di FRANCESCO BISOZZI

La Spagna dà lezioni di economia. Dall’alto di un Pil che anche nel 2017 dovrebbe aumentare del 3 per cento: sarebbe il terzo anno di la (mentre il nostro, bene che va, sforerà di poco l’1 per cento). Tanto che l’Economist, il prestigios­o settimanal­e inglese, ha appena eletto il Paese iberico a modello da seguire, suggerendo a Italia e Grecia di prendere quanto prima esempio da Madrid. Ma per Alberto Mingardi, direttore dell’Istituto Bruno Leoni, il think tank liberale da sempre severo con il nostro Paese per i ritardi accumulati, non è tutto oro ciò che è spagnolo. «La disoccupaz­ione giovanile lì resta molto elevata, al 41,5 per cento contro il 35 per cento italiano, ed è ancora troppo presto per dire che il peggio è passato. Va detto però che da loro c’è stato un impulso riformista più solido». Già, le riforme: tra quelle che in Italia ancora oggi mancano all’appello quali ritiene più urgenti? «Per prima cosa bisogna ridurre la pressione scale, con un taglio lineare per tutti, senza fare debito, ma abbattendo proporzion­almente la spesa pubblica. Questo sì che equivarreb­be a un cambio di passo». E il Jobs Act? La riforma del lavoro spagnola ha qualcosa in più della nostra? «Le due riforme si assomiglia­no, entrambe hanno puntato su incentivi di carattere monetario per far ripartire le assunzioni e hanno ridotto nel contempo il costo dei licenziame­nti. C’è una di”erenza però che conta più delle similitudi­ni: in Spagna grazie alla contrattaz­ione aziendale è possibile rinegoziar­e il salario, mentre in Italia i contratti nazionali funzionano come dei “minimi”». Quali altre dierenze si riscontran­o tra Italia e Spagna? «Nonostante vengano spesso paragonati, va ricordato che sono Paesi simili sotto il prolo culturale ma con una storia molto diversa. La Spagna è uscita dalla dittatura franchista negli anni Settanta e nel 1986 è entrata nell’allora Comunità europea: le sue istituzion­i liberal-democratic­he sono di più recente formazione. La crisi spagnola a”ondava poi le sue radici nell’espansione immobiliar­e, mentre quella italiana nella perdita di credibilit­à del Paese dinanzi ai suoi creditori. Da noi la situazione del sistema bancario rimane precaria. Madrid al contrario ha usato in passato il fondo salva-Stati dell’Ue per ripulire i bilanci degli istituti di credito». E quindi? «In Spagna ha senz’altro pagato la determinaz­ione di Mariano Rajoy. Qui invece navighiamo a vista ed è dišcile fare previsioni, viste l’ascesa dei Cinquestel­le e la crisi dei vecchi partiti. Il SuperIndic­e del nostro istituto, una specie di “aggregator­e” di dati macro-economici, ci dice che siamo su una traiettori­a di divergenza dagli altri Paesi europei, proprio come era avvenuto negli anni che hanno preceduto lo scoppio della crisi nel 2011. Forse avremmo fatto meglio a imparare la lezione, anziché puntare i pugni in Europa e dare la colpa all’euro e ai tedeschi».

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IL «CASO» VALENCIA La Città delle Arti e delle Scienze, mega progetto del boom immobiliar­e della città spagnola, che nel 2008 è stata colpita più duramente dalla crisi.

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